Massimiliano Brolli : 31 Gennaio 2023 15:58
Vi siete mai chiesti quale fu il primo hacker della storia?
Richard Greenblatt e Bill Gosper, fondatori della “community hacker“, non furono i primi esempi di hacker. Come visto, il termine non si lega esclusivamente all’information technology.
Forme di hacking si trovano anche nella matematica, nella musica, nell’arte, nella politica e in altre discipline. Studio, sperimentazione e intuizione permettono di risolvere problemi complessi con approcci mai esplorati prima.
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Il primo hacker della storia, universalmente riconosciuto, fu Nevil Maskelyne, inventore e sedicente mago inglese. Maskelyne proveniva da una famiglia di creativi. Suo padre inventò le serrature a moneta per i bagni pubblici a pagamento.
Nevil Maskelyne si interessò alla tecnologia wireless contemporaneamente a Marconi, usandola nelle sue esibizioni per comunicare “segretamente” con il suo assistente e stupire il pubblico. Per lui, la comunicazione wireless rappresentava una forma di vera magia, e non aveva torto.
Inventore brillante, sviluppò un trasmettitore per accendere la polvere da sparo a distanza. Secondo alcune fonti, riuscì persino a inviare un messaggio radio da terra a una mongolfiera.
Tuttavia, le sue ambizioni nel campo della tecnologia wireless sono state vanificate dai brevetti di Marconi. Comprendete quindi che tra i due non scorreva buon sangue, ma Maskelyne non aveva ancora giocato tutte le sue carte contro il famoso scienziato italiano.
Molti scienziati studiarono le onde elettromagnetiche, ma fu Guglielmo Marconi a usarle per trasmettere il primo messaggio telegrafico senza fili della storia. Nel 1895 sfruttò queste onde per rappresentare i trattini e i punti del codice Morse, inviando segnali a chilometri di distanza.
Nel 1909 vinse il Premio Nobel per la Fisica per “il suo contributo allo sviluppo del telegrafo senza fili”. Marconi dimostrò l’efficacia della sua invenzione nel 1901, inviando segnali wireless attraverso l’Atlantico. Ottenne anche il famoso (e controverso) brevetto 7777 per il telegrafo senza fili.
Ma ritorniamo a Maskelyne.
Era il 1903 e da poco era stata realizzata la tabulatrice di Hollerith, una macchina creata per velocizzare il censimento americano del 1890 utilizzando le prime schede perforate, da una azienda che ben presto divenne la IBM da noi tutta conosciuta. Ricordiamoci che in quel periodo i computer non erano ancora presenti.
Proprio in quell’anno il ventottenne Marconi prese parte ad una dimostrazione del telegrafo per il pubblico presso la Royal Institution di Londra, dove il fisico John Fleming ricevette un messaggio in codice Morse che l’italiano aveva inviato e che lo avrebbe ritrasmesso in Cornovaglia, ad una distanza di circa 300 miglia.
All’orecchio inesperto, non c’erano indicazioni che le cose non stessero andando bene, ma per Fleming e il suo assistente, il tintinnio ritmico che avevano sentito era l’inizio di un disastro. “Ratti, Ratti, Ratti” erano le parole che per magia vennero trasmesse ripetutamente nel sistema preparato per l’occasione letteralmente impazzito.
La beffa continuò per diverso tempo con il pubblico sbigottito, poiché furono inviati diversi versi umoristici che screditavano Marconi e la sua invenzione. Questo perché quel fatidico 3 giugno, Maskelyne si installò in un edificio adiacente al teatro e mise in funzione un piccolo trasmettitore che aveva messo a punto per l’occasione divertendosi (oggi si direbbe “trollando”) Marconi e Fleming introducendosi nelle loro telecomunicazioni.
Oltre a umiliare l’italiano, l’azione di Maskelyne servì anche per la scienza, perché cominciò ad evidenziare le possibili falle di sicurezza all’interno dello strumento.
Pensate che in precedenza Marconi disse alla Gazzetta di St. James di Londra di “poter sintonizzare il telegrafo in modo che nessun altro apparato che non sia sintonizzato in modo simile posso introdursi e disturbare i messaggi”.
Quindi concludendo con una battuta, il primo hacking nella storia è stato quello di inviare un insulto in codice Morse, e come in un serial tecnologico, le accuse sono state scambiate attraverso il giornale Times. In una lettera al giornale, Fleming coniò l’espressione “vandalismo scientifico!” per descrivere cosa era successo chiedendo aiuto ai lettori per smascherare l’autore di tanta spregevole insolenza scientifica.
Ma non era necessario, perché Maskelyne, orgoglioso della sua impresa, rivendicò l’accaduto tramite una lettera allo stesso giornale, sostenendo che la sua intenzione era stata quella di smascherare Marconi e “rivelare la vulnerabilità della sua invenzione“.
Tutto questo non è molto distante rispetto a quello che accade oggi, non è vero?
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