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Autore: Fabrizio Saviano

Neurodivergenti in cybersecurity: quando il bug è il tuo superpotere

I manuali di crescita personale vendono l’hyperfocusing come segreto del successo. Le routine come chiave della produttività. L’uscita dalla comfort zone come panacea universale. Ma Jeff Bezos (ADHD), Elon Musk (Asperger) e Richard Branson (dislessico) non hanno scoperto l’hyperfocus leggendo un libro di autoaiuto: ci sono nati. Thomas Edison era ossessivo e incapace di concentrarsi a lungo su un solo compito, eppure ha inventato la lampadina. Leonardo Da Vinci lasciava opere in sospeso perché la sua mente correva in troppe direzioni. Einstein imparò tardi a leggere, a scrivere e a parlare. Oggi probabilmente sarebbero tutti diagnosticati come neurodivergenti. E il mondo li

Dio è in Cloud: ti hanno hackerato il cervello e ti è piaciuto

Siamo nell’era dell’inganno a pagamento. Ogni tuo click è un referendum privato in cui vincono sempre loro, gli algoritmi. E non sbagliano mai: ti osservano, ti profilano, ti conoscono meglio di tua madre. Tu pensi di scegliere il detersivo e invece è il detersivo che ha scelto te. La pubblicità non vende più prodotti. Una volta si diceva che il prodotto sei tu, ma non è più nemmeno così. La pubblicità vende la tua attenzione, i tuoi riflessi, i tuoi tic. La manipolazione oggi è automatica, e il bello è che la chiami “comodità”. Ti convincono che decidi tu, ma il tasto

Bias cognitivi e cybersecurity: l’errore fatale del “non ho nulla da nascondere”

In Italia, ogni anno oltre 3.000 persone perdono la vita sulle strade, nonostante tutti conoscano le regole basilari della sicurezza. Nel cybercrime, lo scenario non è poi così diverso: milioni di vittime ogni anno, anche se ormai è risaputo che i link sospetti sono trappole da evitare. E se il phishing continua ad esistere in tutte le sue forme, questo significa che qualcuno ancora ci abbocca. Allora, come spiegare questa contraddizione? Entrano in gioco i bias cognitivi, scorciatoie mentali che ci fanno pensare “TANTO”: “tanto non ho nulla da rubare”, oppure “tanto a me non succederà mai”, oppure “tanto io ci faccio

La cybersicurezza è democratica: lo stesso virus colpisce multinazionali e casalinghe

Lo stesso malware che ieri bloccava i server di una grande banca oggi cripta le foto della signora Pina sul suo PC di casa. Come? Con un innocuo messaggio WhatsApp, inviato dal nipote, la cui moglie lavora proprio in quell’istituto di credito, che ha preso lo stesso virus sul PC aziendale che si è diffuso automaticamente. Questa storia non è una fiaba ma la cruda realtà che dimostra una verità scomoda: la cybersecurity è profondamente democratica. Le minacce non fanno distinzioni, colpiscono multinazionali e casalinghe, grandi aziende e singoli individui, sfruttando l’anello più debole della catena: il fattore umano. Le organizzazioni non

La corsa alla cybersicurezza è partita e l’Italia corre con le scarpe legate

Negli ultimi anni la cybersecurity è balzata in cima all’agenda di imprese, istituzioni e pubblica amministrazione. Ma se guardiamo ai numeri, l’Italia sembra ancora correre con le scarpe legate: investe circa lo 0,12% del PIL in sicurezza digitale, meno della metà di Francia e Germania e appena un terzo rispetto a Regno Unito e Stati Uniti (fonti: Rapporto Clusit 2025, DeepStrike Cybersecurity Spend Report 2025). Questo budget ridotto si traduce in un parco strumenti spesso vecchio e polveroso, incapace di tenere il passo con la mole e la complessità degli attacchi. Il Rapporto Clusit 2025 fotografa una realtà che non lascia spazio

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