
Fabrizio Saviano : 1 Novembre 2025 09:41
Negli ultimi anni la cybersecurity è balzata in cima all’agenda di imprese, istituzioni e pubblica amministrazione. Ma se guardiamo ai numeri, l’Italia sembra ancora correre con le scarpe legate: investe circa lo 0,12% del PIL in sicurezza digitale, meno della metà di Francia e Germania e appena un terzo rispetto a Regno Unito e Stati Uniti (fonti: Rapporto Clusit 2025, DeepStrike Cybersecurity Spend Report 2025).
Questo budget ridotto si traduce in un parco strumenti spesso vecchio e polveroso, incapace di tenere il passo con la mole e la complessità degli attacchi. Il Rapporto Clusit 2025 fotografa una realtà che non lascia spazio a speranze: gli attacchi gravi nel nostro Paese sono cresciuti del 15,2% nell’ultimo anno e quasi ogni giorno qualcuno subisce danni rilevanti, certificati da 357 incidenti gravi che sono stati registrati nel 2024.
Aggiungiamo al quadro un ritardo digitale che pesa come un macigno: appena il 45% degli italiani ha competenze digitali di base, e molte aziende arrancano a trovare profili specializzati per difendersi (fonte: DESI Digital Skills Report 2025). In pratica, questa carenza crea una rete di sicurezza fatta più di buchi che di protezione.
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Nulla di nuovo per gli attaccanti, che ci attaccano con automatismi che nelle realtà italiane pubbliche e private – dove anche acquistare una tecnologia, un corso di formazione, oppure un servizio di consulenza è una corsa ad ostacoli – sono pura fantasia: è la nuova realtà, non un’eccezione da tamponare.
E qui salta fuori il CISO, il capo della sicurezza digitale, figura che non può più essere solo un tecnico ingegnoso o un giurista pedante: serve un mix tra diritto, tecnologia, gestione e comunicazione. Chi occupa questo ruolo deve saper trasformare un linguaggio tecnico complesso in argomentazioni convincenti per i vertici dell’organizzazione, spesso poco inclini a capire che la sicurezza non è tecnologia, ma strategia.
L’asimmetria tra chi difende e chi attacca è quasi una barzelletta a denti stretti: i malintenzionati spesso hanno più budget, meno regole e più libertà d’azione. È urgente un cambio di passo che prenda in considerazione investimenti coordinati, sviluppo di competenze ampie e un cambio culturale profondo.
Ogni giorno che passa senza un cambio deciso, il rischio per il sistema Paese cresce fino al prossimo report. La cybersecurity non è più un’opzione, ma è un asset fondamentale per la sopravvivenza in un mondo iperconnesso.
Per approfondire come preparare professionisti capaci di questo salto, rimando al “Manuale CISO Security Manager”, che offre un percorso concreto di formazione multidisciplinare.
Fabrizio Saviano
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