
Redazione RHC : 17 Novembre 2022 08:00
Autore: Domenico Barricelli
Ci troviamo immersi nell’era digitale, dove lo sviluppo innovativo legato al progressivo passaggio
dalle tecnologie meccaniche a quelle digitali ha apportato ampi cambiamenti sociali ed economici.
Una rivoluzione che ha trasformato la nostra vita quotidiana, sempre più pervasa dall’utilizzo di
tecnologie e dispositivi interattivi (web, digitale terrestre, smartphone), ormai diventati vere e proprie
“protesi tecnologiche” che ci consentono di accedere a servizi e informazioni in tempo reale, prima
inimmaginabili, ma anche a nuove forme di interazione sociale.
CVE Enrichment Mentre la finestra tra divulgazione pubblica di una vulnerabilità e sfruttamento si riduce sempre di più, Red Hot Cyber ha lanciato un servizio pensato per supportare professionisti IT, analisti della sicurezza, aziende e pentester: un sistema di monitoraggio gratuito che mostra le vulnerabilità critiche pubblicate negli ultimi 3 giorni dal database NVD degli Stati Uniti e l'accesso ai loro exploit su GitHub.
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Una trasformazione che ha contribuito a cambiare profondamente le nostre attitudini, i nostri stili di vita e di consumo, ma anche le nostre modalità comunicative e relazionali. Un’era che, oltre a portare indubbi benefici in termini di facilitazione di molte delle nostre attività quotidiane, alimenta paure, perplessità, così come rischi di violazioni ed esclusione sociale e relazionale.
Il ruolo e l’uso delle tecnologie crescerà in termini esponenziali, insieme ai rischi e alle preoccupazioni legate ad un impiego indiscriminato (senza controllo) della rete, che andranno a discapito delle fasce più deboli della popolazione (giovani adolescenti, donne, anziani).
Recenti indagini (Censis, “Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2021”) hanno sottolineano le principali cause fonte di preoccupazioni degli italiani sul rischio nell’utilizzo del web: sicurezza informatica, libero accesso ad Internet dei minori, rischio per la salute mentale e dipendenza per sovraesposizione al web e ai social.
In tal senso è importante, come in tutte le innovazioni, tenere alta l’attenzione su un uso adeguato
delle tecnologie, attraverso la diffusione di una cultura del rischio, in grado di tutelarci da tutti quei
fenomeni individuabili nel cyber crime, nelle frodi informatiche, nello sfruttamento in rete (dalla
porno-pedofilia al cyberbullismo).
Le rivoluzioni tecnologiche sappiamo che avanzano velocemente, il cyberspazio diventa l’ambiente
in cui si intrecciano le nostre vite quotidiane, l’economia e la sicurezza, ed il rischio che intravediamo
può essere legato, invece, alla lentezza dei processi politici, che tentano di regolamentare uno
spazio libero e privo di leggi che erode la sovranità, ignora i confini, abolisce la privacy e pone forse i rischi più seri alla sicurezza globale”, come ci ricorda lo storico e saggista israeliano Yuval Harari (“Homo Deus. Breve storia del futuro”, Giunti Editore/Bompiani, Milano, 2017).
Inondati da dati, informazioni, immagini, la vera questione è capire cosa ignorare dalla rete e cosa
invece tenere in considerazione, poiché rilevante per la nostra condizione di vita di soggetti integri e
consapevoli, in grado di valutare, scegliendo al di là degli inevitabili condizionamenti e comportamenti fraudolenti e manipolativi.
In tal senso è necessario rendere gli individui integri (indipendenti, autonomi, consapevoli), rafforzando il loro bagaglio valoriale interno – ovvero il sistema di credenze e la cultura di riferimento utile ad orientarli nei comportamenti e guidarli nelle scelte più idonee; così come è importante, in egual misura, rafforzare il vissuto esterno in cui sono immersi gli individui nella loro quotidianità, riconducibile agli ambienti familiari e sociali, in grado di tutelarli – se armonici, equilibrati ed equidistanti – dai rischi informatici, di cui abbiamo fatto cenno in precedenza.
L’era digitale, con il massiccio ricorso ai big data e all’I.A., offre grandi opportunità di scambio
economico, sociale, scientifico, pedagogico-educativo, che ci affascina, anche se – come ci ricorda
la psicologa americana Shoshana Zuboff (Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”, Luiss University Press, Roma, 2019) – dobbiamo sempre tener presenti i rischi insiti nel “capitalismo della sorveglianza”, come la stessa lo definisce; un tipo di capitalismo che attraverso il grande utilizzo dei Big Tech è intento nel mercificare, controllare e cooptare ogni esperienza umana per trasformarla in “dati comportamentali grezzi” da utilizzare per accrescere ancora di più profitti e potere di una ristretta élite.
Un tipo di capitalismo intento a monitorare, analizzare e plasmare il comportamento umano assoggettandolo al profitto dei big players della tecnologia, che traggono profitto dai c.d. “mercati comportamentali futuri”, in cui il principale scopo è prevedere il comportamento presente e futuro delle persone come un’informazione di grande valore economico commerciale.
È importante l’allarme che ci lancia la Zuboff, poiché ci offre un punto di vista che ci mette in guardia
sui rischi che corriamo oggi con tale forma di capitalismo (ormai pervasivo): esso non è interessato
ad un naturale scambio tra produttore e consumatore, bensì ad un esclusivo utilizzo degli utenti come
veicolo per offrire prodotti e i servizi plasmati sulle esperienze personali (materia prima da sfruttare),
che vengono confezionate per gli scopi di aziende che operano nel c.d. mercato dei “comportamenti
futuri”.
Proprio perché il web ormai pervade gran parte della nostra vita sociale, le persone, senza una
costrizione evidente, vengono osservate (e controllate attraverso l’utilizzo di algoritmi, grazie al
ricorso all’A.I.) per essere orientate e assoggettate a determinati consumi.
È per tali ragioni che occorre incidere maggiormente sul livello educativo e culturale, tenendo alta
l’attenzione per elevare i livelli di istruzione, formazione e conoscenza (anche tecnologica), nella
volontà di decidere di scegliere come tutelare la propria privacy, per essere persone uniche, inviolabili
e libere da condizionamenti, costrizioni e violazioni, soprattutto di fronte ai rischi di assuefazione o
debolezza delle istituzioni

Domenico Barricelli è un sociologo del Lavoro, Ricercatore, Counsellor Formatore-Supervisore, Docente di Competenze per l’inserimento nel mondo del lavoro e il metodo interdisciplinare, presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Email: [email protected] sito: www.domenico.barricelli.it
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