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Decadenza Digitale: Quando il Futuro Promesso Diventa una Gabbia per la mente

Massimiliano Brolli : 6 Agosto 2025 07:41

Per decenni abbiamo celebrato il digitale come la promessa di un futuro più connesso, efficiente e democratico.

Ma oggi, guardandoci intorno, sorge una domanda subdola e inquietante: e se fossimo veramente entrati nel periodo della decadenza digitale? Un’epoca in cui la tecnologia, da motore del progresso, si sta trasformando in una pesante zavorra, in disinformazione, dipendenza e soprattutto disumanizzazione — dove il digitale ci promette tutto, ma ci toglie lentamente ciò che ci rende umani.

In questo articolo voglio condividere alcuni “segnali” che da tempo osservo e cerco di contestualizzare. Indizi sottili ma sempre più evidenti, che mostrano come il sogno digitale stia perdendo lucidità, lasciandoci spettatori di una trasformazione che ci riguarda tutti — e che forse stiamo subendo più che guidando.

La sovrabbondanza dei contenuti e la morte del significato

In rete si pubblicano ogni giorno miliardi di contenuti. Ma quanta di questa produzione ha un reale valore?


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L’informazione si è trasformata in rumore, i testi in clickbait, le immagini in labirinti per l’attenzione.

La conoscenza approfondita è stata sacrificata sull’altare della viralità e della velocità. La “quantità” ha sopraffatto la qualità. In questo scenario, ciò che è vero viene sepolto sotto ciò che è virale, e l’utente medio, bombardato da input, perde la sua capacità critica.

L’IA avrebbe dovuto potenziare le nostre capacità cognitive, liberandoci da compiti ripetitivi. Invece, si sta delineando uno scenario inquietante: testi, immagini, video e perfino emozioni sintetiche prodotti a velocità disumana, rendendo indistinguibile il reale dal simulato.

L’autenticità perde valore. La creatività umana è messa in ombra da un flusso inarrestabile di “prodotto digitale” generato da macchine. Ciò che era raro e prezioso, ora è replicabile, indistinto, con un sapore “statistico,” e privo di anima.

Il collasso delle relazioni e la dipendenza: il nuovo modello di Business

I social network, nati per avvicinare le persone, sono diventati luoghi di alienazione, narcisismo e polarizzazione.

Il concetto stesso di “amicizia” è stato svuotato. Le interazioni umane sono filtrate da algoritmi che decidono cosa dobbiamo vedere, pensare, desiderare. Si parla tanto di “engagement“, ma ciò che cresce è la solitudine. E questo noi che ci occupiamo di Cybersecurity lo vediamo. Romantic scam, macellazione del maiale. Il digitale ha moltiplicato le connessioni, ma sta irrimediabilmente indebolendo i legami e l’autenticità a tutto tondo.

Nel capitalismo digitale, la risorsa più preziosa non è il denaro, ma la nostra attenzione. E per ottenerla, tutto è lecito: notifiche infinite, scorrimento infinito (che sta lobotomizzando i giovani), e tutto questo con premi dopaminergici.

Le piattaforme non si limitano più a offrirci servizi: ci osservano, ci influenzano e ci tengono incollati. Un tempo la sorveglianza era il cuore del modello di business di Internet (ci spiegava il grande Bruce Schneier). Oggi sta accadendo qualcosa di più sottile e pervasivo: la dipendenza è diventata il nuovo modello di business.

La libertà dell’individuo si dissolve nella compulsione algoritmica. Non siamo più utenti, siamo merce — profilati, sezionati e rivenduti al miglior offerente, mentre crediamo di esercitare scelte libere in un ecosistema pensato per essere manipolati.

Vulnerabilità, dati, privacy e cyberminacce

Ogni nostra azione online lascia molte traccie. Ogni dispositivo è una porta d’ingresso. La digitalizzazione totale ci ha resi vulnerabili come mai prima. Dalla sorveglianza di massa alle fughe di dati personali, dai ransomware che paralizzano ospedali ai deepfake che minano la fiducia pubblica, viviamo immersi in un’epoca di insicurezza digitale sistemica. Il digitale, che avrebbe dovuto renderci più sicuri, ha spalancato invece nuove e imprevedibili frontiere del rischio.

La privacy, un tempo pilastro della dignità individuale, è oggi una chimera: promessa a parole, ma purtroppo sistematicamente violata nei fatti. Un’illusione che ci viene venduta mentre veniamo osservati, profilati e monetizzati.

C’è un senso di stanchezza nell’aria?

I nuovi dispositivi, le app, gli aggiornamenti sembrano più routine di consumo per far girare quella grossa ruota del consumo, che rivoluzioni culturali. iPhone 17? Ma cosa ha davvero di così rivoluzionario rispetto all’iPhone 12?

Le grandi aziende non innovano più per cambiare il mondo, ma per consolidare il loro dominio sul mondo.

Il mercato si concentra, l’energia creativa si spegne. Le startup, un tempo laboratorio del futuro con pochissime e illuminate persone, oggi inseguono l’effimero: rendere il cibo più veloce, il dating più superficiale, le notifiche più invasive.

L’innovazione ha smarrito la bussola. E noi, forse, la capacità di distinguere il progresso dalla sua caricatura.

I nuovi Dei: Conglomerati, Potere e la Fine della Casa Comune

Nel nostro tempo, i grandi conglomerati globali non sono più semplicemente aziende. Sono potenze sovranazionali, colossi economici che muovono capitali superiori al prodotto interno lordo di intere nazioni. Hanno sedi nei grattacieli, ma radici profondissime nella terra fertile della politica. Nessun vertice internazionale, nessuna agenda globale può prescindere dalla loro influenza e interferenza. Hanno ridefinito le regole, trasformando la democrazia in un esercizio di relazioni pubbliche e la sovranità in una formalità amministrativa.

Nutrendosi di dati, risorse e consenso, questi nuovi Leviatani tecnologici hanno creato un ecosistema dove il business è il valore supremo, una nuova etica mercantile che soppianta quella umana. L’uomo non è più “cittadino del mondo“, ma utente; non più soggetto di diritto, ma “oggetto di profilazione“. E mentre ci illudiamo di essere connessi, loro costruiscono cattedrali di silicio e labirinti algoritmici per le nostre menti sfruttando una quantità di energia senza precedenti.

L’intelligenza artificiale, con tutta la sua promessa di progresso, è anche figlia di un’incontrollabile fame energetica. E questa fame ha risvegliato appetiti antichi: complessi nucleari privati stanno sorgendo come nuove centrali del potere. La visione di un mondo più pulito, racchiusa nei sogni dell’Agenda 2030, si dissolve nel calore radioattivo dei reattori per alimentare l’apprendimento dei modelli di intelligenza artificiale. E questa è una corsa che brucia silenziosamente i principi ecologici e i valori umani.

La Terra non è più percepita come una madre, ma come una cava. E come ogni figlio ingrato, l’uomo continua a violarla, a saccheggiarla, a ignorarne i limiti. Non c’è rispetto per la casa in cui viviamo, e ancor meno per noi stessi e per i nostri figli.

Ci siamo convinti che il valore si misuri solo con il capitale, margini di profitto e crescita perpetua. Abbiamo scambiato l’espansione continua per un segno di salute, dimenticando che in natura ciò che cresce senza equilibrio, senza limiti, distruggendo ciò che lo circonda e alla fine se stesso… si chiama tumore.

Conclusione: è davvero decadenza?

Non possiamo sapere con certezza se siamo all’inizio del tramonto digitale o in una sua fase di trasformazione.

La decadenza digitale non è solo tecnologica: è antropologica. È il lento declino della nostra capacità di distinguere il reale dal simulato, il vero dal verosimile, l’umano dall’algoritmico. È la progressiva erosione del pensiero critico, dell’intimità e della riflessione, a favore della velocità, della reazione e della superficialità.

È vero, ogni epoca ha avuto i suoi momenti di eccesso, di crisi e di forte riflessione.

Ma ciò che è chiaro è che il paradigma attuale non è sostenibile. Abbiamo bisogno di una nuova visione: un digitale che non consumi, ma che costruisca; che non manipoli, ma che emancipi; che non produca soltanto profitto, ma anche buon senso.

La decadenza, in fondo, non è necessariamente la fine. È spesso un invito al cambiamento. Un segnale che qualcosa deve per forza evolversi.

Sta a noi decidere se assistere al collasso o essere protagonisti di un “rinascimento digitale”.

Massimiliano Brolli
Responsabile del RED Team e della Cyber Threat Intelligence di una grande azienda di Telecomunicazioni e dei laboratori di sicurezza informatica in ambito 4G/5G. Ha rivestito incarichi manageriali che vanno dal ICT Risk Management all’ingegneria del software alla docenza in master universitari.

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