
Daniela Farina : 17 Gennaio 2023 07:53
Per alcuni, presto le Intelligenze Artificiali (IA) sembrano essere in grado di superare il test di Turing ed essere scambiate da un umano come suoi simili. Gli ingegneri si adoperano per affinare questi algoritmi, ma bisogna rispondere ad una domanda più importante
Vogliamo vivere davvero in un mondo nel quale gli umani non sanno se si stanno relazionando con una macchina oppure con un altro essere umano?
Malgrado nel dibattito etico i pareri siano quasi unanimi, ci sono campi delle IA- come l’affective computing (computazione emozionale) che analizzano e simulano le emozioni umane – volti a rendere sempre più arduo distinguere gli umani dalle macchine. Queste ricerche potrebbero portare a realizzare androidi avanzati come quelli protagonisti dei racconti di Asimov.
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Uno di questi è l’androide che nel film «L’uomo bicentenario» è interpretato da Robin Williams.
Il film narra l’esistenza di uno dei primi prototipi di androide positronico il modello NDR-114, da cui il nome “Andrew” acquistato dalla famiglia Martin come robot di servizio.
Nonostante l’iniziale diffidenza della famiglia viene lentamente accettato e dimostra ben presto di possedere emozioni e reazioni del tutto inaspettate per un robot e sotto la guida del signor Martin, acquisisce una sempre maggiore consapevolezza di sé, fino al punto di richiedere e di ottenere la propria libertà.
Nel film, l’androide fa di tutto per divenire un essere umano a pieno titolo, imparando a coltivare sentimenti ed emozioni. Agisce anche in modo morale, come mosso da un desiderio di benevolenza verso gli uomini. Si umanizza ed insegna agli esseri umani il senso della vita e la libertà.
È la libertà che segna la particolarità di un personaggio nato per servire e finito con il possedere una vita piena e felice.
Andrew : «Uno ha studiato la vostra storia: sono state combattute guerre terribili in cui sono morti milioni di individui per un idea: La libertà. Quindi si può dire che una cosa a cui tante persone tengono così tanto vale la pena di averla. Il signor Martins non capisce che essere liberi non significa non avere vincoli, non significa non voler legami che ci rendono la vita indipendentemente felice, per questo chiedi assurdamente ad uno di assumersi la responsabilità della libertà.»
Il timore delle IA, instillato in tanti film a partire da “2001 Odissea nello spazio” dove le macchine divenute intelligenti si rivelano all’uomo e lo dominano, si contrappone alla visione di questo racconto dove un robot non si rivolge contro l’uomo ma la ama così tanto da voler essere un uomo, in tutti i sensi.
Diversamente da quanto rappresentato nel film, oggi l’evoluzione dell’intelligenza artificiale è percepita come un pericolo. La paura moderna di essere di fronte ad una specie superiore era già implicita nell’angolazione che Turing aveva dato al suo dibattito: il suo test verte su uno scontro intellettuale uomo – macchina ed in ogni gioco o battaglia ci sono dei vincitori e degli sconfitti.
La tecnologia, lo abbiamo detto tante volte, in sé non è ne buona ne cattiva. Buono o cattivo è l’uso che se ne fa!
Riflettere sulla cultura ispirata all’automazione è un primo passo verso un linguaggio comune, adatto a discutere le scelte politiche e personali in tema di IA che ci aspettano, nei prossimi decenni.
Quello che stiamo vivendo oggi è uno slancio di consapevolezza che ci sta spingendo a capire più a fondo la questione, ponendo le basi per una corretta gestione sociale della Rete e delle macchine.
Il dibattito del supposto conflitto tra uomo e macchina sarà positivo se lo sapremo mantenere dentro un perimetro di arricchimento dei punti di vista, senza radicalizzazioni e preconcetti.
L’intelligenza artificiale è uno spazio pionieristico e rivoluzionario dal quale sarebbe un peccato restare fuori.
La nuova era non è solo un’opportunità per la società è anche una necessità.
Soltanto con l’aiuto delle macchine intelligenti saremo in grado di gestire adeguatamente la complessità dirompente del mondo moderno ed affrontare con successo problemi interconnessi, come le malattie.
Il vero rischio non è il cognitive computing in quanto ciò che ci ha contraddistinti come razza umana non è la pretesa di andare su Marte o sulla Luna, con le ali di Icaro, ma di arrivarci con la tecnologia.
E’ vero che la macchina è ormai capace di battere a scacchi un uomo ma solo l’uomo può pensare fantasiosamente e creativamente.
Direi proprio di no. Forse è solo una speranza ma la speranza ci contraddistingue dalle altre specie, più dell’intelligenza.
L’uomo bicentenario è solo un film avvincente ma se il futuro sarà sempre più popolato da robot c’è da augurarsi che siano tutti come Andrew Martin.
Un mondo dove uomo e macchina si fondono per finire insieme il loro destino.
Nei prossimi articoli, analizzeremo insieme gli aspetti psicologici e gli eventuali impatti delle IA.
Daniela Farina
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