
Redazione RHC : 23 Novembre 2025 10:12
L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui i neolaureati in informatica affrontano il mondo del lavoro. Non si tratta di sparizioni improvvise di posti di lavoro, ma di una trasformazione dei ruoli entry-level in programmazione e sviluppo. Quello che prima era “scrivere, testare, correggere” oggi si fa con strumenti di IA che danno una mano, e questo significa che il lavoro di base non è più l’unico elemento determinante.
Gli sviluppatori junior oggi devono affrontare compiti che richiedono creatività, pensiero critico e collaborazione. Architettura software, progettazione dell’interfaccia, integrazione dei sistemi, ethical computing: tutti aspetti che un tempo sembravano riservati agli esperti, oggi sono fondamentali già nelle prime esperienze professionali.
Gli strumenti di IA rendono il lavoro più veloce: se prima scrivere dieci righe di codice funzionante al giorno era la norma, oggi si possono fare molte più cose. Ma la conoscenza delle basi resta imprescindibile, perché l’IA suggerisce la via ma non può sostituire completamente il giudizio umano.
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Gli studenti lo percepiscono già.
Un sondaggio condotto nel gennaio 2024 su 1.250 studenti tra college biennali e quadriennali ha mostrato che molti stanno già orientando i propri corsi e le aspirazioni professionali in funzione dell’IA. Il 14% ha cambiato addirittura corso di laurea, mentre un altro 34% ne ha sentito almeno un’influenza. Le discipline umanistiche restano meno toccate: solo il 7% segnala cambiamenti, rispetto al 22% nelle discipline interdisciplinari.
Quasi tre quarti degli intervistati sperano che le università li aiutino concretamente a prepararsi a lavorare con l’IA. Non basta saper scrivere codice: vogliono capire come l’IA si applica concretamente in settori come sanità, finanza, energia o logistica.
Le università stanno cercando di adeguarsi. Hanno introdotto master, corsi specifici e programmi interdisciplinari, oltre a corsi che affrontano gli impatti etici e sociali dell’intelligenza artificiale. Alcuni permettono a studenti di discipline umanistiche di acquisire conoscenze pratiche di machine learning; altri puntano sull’esperienza diretta con tirocini e partnership con aziende. L’obiettivo è chiaro: non basta la teoria, servono competenze reali, spendibili sul mercato del lavoro.
Nonostante alcune incertezze economiche, l’informatica resta un settore tra i più remunerativi, soprattutto per chi sviluppa competenze in IA, sicurezza, dati e cloud. L’intelligenza artificiale non elimina solo posti di lavoro: ne crea di nuovi.
Basti pensare all’agricoltura: droni intelligenti che monitorano colture, diagnosticano parassiti e malattie con algoritmi di IA, e permettono interventi mirati. Cinque anni fa queste figure professionali non esistevano; oggi sono realtà, e richiedono competenze miste tra tecnologia, dati e applicazioni pratiche.
Per gli insegnanti la sfida è enorme.
Devono bilanciare l’insegnamento delle basi – algoritmi, strutture dati – con tecnologie in continuo cambiamento. E devono imparare a stare al passo, perché non si può insegnare ciò che non si conosce davvero.
Le scuole più attente collaborano con professionisti del settore e aggiornano i programmi di studio in tempo reale, così da preparare gli studenti a lavori concreti, oggi e in futuro.
In sintesi, i giovani sviluppatori non possono più limitarsi a fare pratica sul codice. Devono pensare, progettare, collaborare e imparare a convivere con l’IA, che è una mano in più ma anche una prova costante delle loro capacità.
Redazione
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