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Cabine telefoniche e telefoni pubblici, parte 2

Laura Primiceri : 25 Marzo 2021 21:35

https://www.uniontel.it/ Insieme per Comunicare

I telefoni pubblici degli anni ’90

Nella prima parte del nostro viaggio nel mondo delle cabine telefoniche e dei telefoni pubblici (se ve la siete persa, la trovate qui) ci siamo fermati al telefono U+I. Siamo alla fine degli anni ’80, la cabina telefonica sembra essere un servizio irrinunciabile, tutto il territorio italiano ne è pieno. Soprattutto nelle località di vacanza o in stazioni e aeroporti è del tutto normale trovare una fila fuori dalla cabina, in attesa che si liberi. Questo accade soprattutto nelle ore serali: di sera la tariffa scende sensibilmente e il gettone dura di più. I vacanzieri chiamano a casa, i businessmen sentono come sta la famiglia, gli innamorati lontani si raccontano le proprie giornate.

Da quelle quattro pareti di vetro passa un’intera generazione che ormai non può più fare a meno del telefono.

Negli anni ’90 il design delle cabine telefoniche e dei telefoni pubblici cambia di nuovo. Innanzitutto muta il colore, da gialle diventano rosse nell’ambito di una massiccia operazione di rebranding e di rinnovamento generale dell’immagine della Sip, che si appresta a diventare Telecom.

Compaiono due nuove tipologie di cabina, una più piccola, snella e agile e l’altra utile nelle zone di intenso passaggio. La prima soluzione è una piccola tettoia trasparente o rossa che protegge il telefono installato solitamente a muro o su una colonnina. La seconda prevede più cubicoli uniti insieme a creare una sorta di ambiente con più telefoni a disposizione per snellire le file, garantendo sempre a ognuno adeguata privacy.

L’innovazione non è solo estetica, ma anche funzionale: la tipologia a tettoia, completamente aperta, è fruibile anche dai diversamente abili dal momento che le “vecchie” cabine a volte rappresentavano una vera e propria barriera architettonica. La vera rivoluzione però è dentro le cabine. I telefoni pubblici stanno per cambiare per sempre.


Un Rotor II, con tastierino e scheda telefonica

Il Rotor

Alla fine degli anni ’80 a sostituire il G+M compare il re dei telefoni pubblici italiani, ovvero il Rotor. Più compatto dei suoi predecessori, più robusto e di facile manutenzione, il parallelepipedo arancione diventa subito amico degli italiani grazie alla sua versatilità. Include per la prima volta un display lcd per visualizzare il credito residuo e la fessura per le monete/gettoni è unica. Da qui deriva il nome Rotor: era il nome del meccanismo che si trovava dietro la fessura delle monete, che ruotava e distingueva i vari conii in base alla lega e alle dimensioni delle monete.

Il Rotor “mangiava” monete da 50, 100, 200, 500 lire (novità) e il gettone. In totale cinque conii, anche se il sistema era capace di accoglierne fino a 6. Il sesto slot o “sesto conio” non fu mai utilizzato. Fino a quel momento i telefoni pubblici Sip potevano essere utilizzati anche per ricevere chiamate. Gli apparecchi avevano una targhetta con il proprio numero che poteva essere normalmente fornito. Il Rotor mette fine a questa abitudine con la sua versione che oggi chiameremmo 2.0, ovvero il Rotor II.

Nato pochi anni dopo il primogenito, era esteticamente uguale tranne un particolare: era equipaggiato con un lettore laterale di tessere magnetiche. In questo modo il mondo della telefonia pubblica si apriva ai pagamenti elettronici che potevano avvenire in due modi: con la celeberrima, popolarissima, nostalgicissima scheda telefonica (ne parleremo nel dettaglio in una delle nostre prossime puntate) e la carta di credito telefonica.

Si trattava di una tessera che permetteva di telefonare illimitatamente, addebitando gli importi sulla bolletta di casa o dell’azienda. Richiedibile direttamente alla Sip, prevedeva un canone mensile e veniva pubblicizzata come “la carta infinita”. Per poter ricevere i pagamenti elettronici, il Rotor II subì una radicale trasformazione interna e fu qui che i telefoni pubblici persero la facoltà di ricevere.

Un Rotor II “da interno”, con tastierino in plastica nera e lettore di schede. La versione da esterno aveva il tastierino in metallo.

Del Rotor esiste una terza versione, chiamata Rotor 3, che permetteva solo l’uso di schede. Fu lanciata in prossimità dell’arrivo dell’euro ma ebbe breve vita e poca fortuna perché, insieme alla moneta, gli italiani si stavano apprestando a cambiare abitudini.

Il Digito e la rimozione dei telefoni pubblici

Arriviamo alla fine del nostro viaggio, al nuovo millennio. Il 2000 porta tante novità: in primis l’euro, come abbiamo detto. Poi, la profonda rivoluzione culturale e sociale portata dai telefonini e dalle loro funzioni. Se fino a pochi anni prima la sigla SMS non significava nulla, nel 2000 gli italiani erano in piena messaggino-mania.

Schiavi dei 160 caratteri, non potevano fare a meno di scambiarsene milioni ogni giorno, dimenticando le schede telefoniche per le quali avevano fatto follie, i gettoni, le file alle cabine. I telefoni pubblici Telecom tentano un disperato tentativo di rimanere in vita col modello Digito, l’ultimo della loro era.


Una cabina che ospita un Digito

Nato nel 2002 dall’esigenza di utilizzare le monete in euro (aggiornare tutti i Rotor sarebbe stato troppo costoso), i Digito presentano un design in acciaio satinato con cornetta rossa e inizialmente accettano solo schede. A differenza del predecessore, l’integrazione con le monete è successiva e opzionale. Per adeguarsi ai tempi, i Digito permettono di inviare e ricevere SMS e fax e, se presente un collegamento a internet, anche le e-mail. Essendo dotati di un numero identificativo (che compare quando si inviano gli SMS), tornano a poter ricevere. Il concetto stesso di telefono pubblico però comincia a mostrare i segni del tempo.

I cellulari sono troppo diffusi, chiunque ne possiede uno. Le cabine vengono relegate a vera emergenza quando ci si ritrova con la batteria scarica oppure senza credito. Nel giro di pochi anni, diventano un investimento in perdita e quasi un “peso” e quindi l’azienda inizia a pensare di poterne fare a meno.

È con questo spirito che nel 2010 parte la campagna di dismissione, autorizzata dal Governo con una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e delle regole ben precise. Telecom può smantellare tutte le cabine e i telefoni pubblici che non ritiene più necessari, a patto di darne adeguata comunicazione per tempo e garantire al cittadino il diritto all’opposizione. Chiunque voglia “salvare” una cabina ha facoltà di inviare una pec motivando la richiesta e questa verrà “graziata”, come spiegato nella delibera AGCOM.


L’avviso comparso sulle cabine durante la campagna di rimozione

Nel 2021, le cabine e i telefoni pubblici superstiti sono veramente pochi e capita sempre più raramente di vedere qualcuno che li sta ancora utilizzando. I pochi apparecchi superstiti sopravvivono per fornire un servizio di emergenza di cui non si può ancora fare a meno, ma costituiscono più un ricordo per nostalgici che una vera necessità quotidiana. Difficile, per non dire impossibile, che qualche millennial possa avere un ricordo legato a un loro uso/abuso/disuso. Icone del “come comunicavamo”, le cabine si avviano a una lenta ma inesorabile pensione.

Laura Primiceri
Giornalista pubblicista, social media manager, storyteller e content creator. Tra i grandi amori la scrittura, la comunicazione e i suoi media, la tv e la pubblicità. Esperta di cultura pop anni ‘90.