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Come investire in Criptovaluta.

Redazione RHC : 2 Giugno 2021 09:01

Autore: Stefano Monti

Data Pubblicazione: 23/05/2021

In un vecchio portafoglio elettronico mi erano rimasti 25 bitcoin, del tutto dimenticati, perché frutto di un cambio monetario da inesperto che ero allora, quando al tempo, erano spiccioli.Per evitare che ci fossero conti truffa su cui operare o speculazioni nel trading, in quel sito su cui ho ritrovato il mio portafoglio ti obbligavano a lasciare una quota minima in deposito, appunto 25 Bitcoin.

Io ne avevo comprati 100 a 30 centesimi l’uno e 75 li avevo cambiati quando erano arrivati ad un valore importante, gli altri li avevo proprio dimenticati. Non erano per niente importanti rispetto all’enorme guadagno che avevo avuto con il cambio al tempo.

Recentemente ricapito su quel sito quasi per errore, ma entro praticamente in automatico con username e password che aveva conservato nel password manager del mio Mac (nel frattempo ho cambiato 3 Mac e mi sono portato dietro il password manager di allora – chi capisce di che sto parlando starà sbavando) e ritrovo lì questo mio portafogli, assolutamente sorpreso.

In contemplazione per circa mezz’ora.

Se non fosse stato per il password manager, non sarei mai risalito alla password, perché i portafogli delle criptomonete non si resettano con una semplice email, serviva invece un codice di sblocco che ti consegnano all’inizio, che inevitabilmente dimentichi per sempre se non lo conservi.

Perché sono rimasto a contemplare quei 25 bitcoin? Ti chiedi il perché? Forse dovresti guardare il recente exploit di queste monete (anche se con alti e bassi).

Premessa

Vi giuro che mi ero proprio dimenticato. Immagina la mia grande sorpresa. Ero totalmente all’oscuro di avere quel piccolo gruzzoletto. Per comprendere meglio la situazione bisogna pensare che il limite di fondo del conto oggi non è più di 25 bitcoin

Mentre cerco di capire cosa farci, mi imbatto in un sito di miner (vedi Wikipedia). In questo sito si dibatte di come “generare moneta dal nulla” – minandola – ossia ospitando con un complesso algoritmo di cifratura la replicazione dei portafogli elettronici e le relative transazioni, in un apposito scatolo grigio: la minatrice. In pratica ogni minatrice è una macchinetta collegata ad internet … niente altro.

Si, ha bisogno anche di corrente, tanta, ma questo è un argomento che non ci compete per il momento. In parole povere, la “minatrice” è definita tale perché è a tutti gli effetti la copia di una banca su internet per questo tipo di criptovalute. Lo scopo della minatrice è di ospitare i portafogli in modo inaccessibile per chiunque, persino per chi ha creato la moneta, e renderla così forte da tentativi di attacco e frodi.

Cripto da crypto, ossia informazioni sulle transazioni criptate e impossibili da leggere senza le opportune chiavi, che nessuno sa a parte la macchina nel suo bit più profondo. Più macchinette ci sono, più replicazioni ci sono, più è sicura la moneta, più persone si fidano e la comprano, così aumenta sempre di più il suo valore. Il fatto di ospitare questa replicazione, consente alla macchinetta di auto mantenersi con le micro commissioni che vengono ricevute ad ogni transazione, oltre a generare un piccolo reddito per chi ne è proprietario.

In pratica ogni 500.000 transazioni – in base alle commissioni medie – si ottiene all’incirca un bitcoin. Esempio: se qualcuno dei portafogli che avete in carico compra un importo di 100 (euro o dollari che siano), si riceve in cambio da uno 0,00001 ad uno 0,000001 di commissione. 100.000 transazioni come queste possono dare da un centesimo o un bitcoin, a seconda della media degli importi. Chiaro che se capita tra i portafogli ospitati qualcuno che cambia un milione di euro in bitcoin – o da bitcoin ad un altra valuta – vedremo una commissione un tantino sostanziosa.

Ma facciamola breve, per chi sa di che sto parlando è già noia, per tutti gli altri esiste Google.

Dopo la sorpresa: l’azione!

Questo accadeva ad agosto del 2018, il bitcoin stava intorno ai 2.500 dollari ed ho convertito una parte di questi proventi inaspettati in macchine minatrici (di seguito macchinette/i) e messe in opera con diverse soluzioni.

Esempio. Ogni macchinetta costava circa 2.499 dollari. Una di queste oggi mi ha mandato una mail prima di morire. Sono andato al suo capezzale e sentivo uno strano rumore. Dai capita, il rumore proviene da uno dei nuovi scatoli grigi installati. La macchinetta, che assomiglia ad un gruppo di continuità o ad un NAS, ha fuso perché la ventola anteriore si è fermata. Se potessi sentire il rumore che fanno da accese queste attrezzature, capiresti perché può sfuggire il fatto che si rompano e l’elevato consumo di corrente spiega tutto quel casino di ventole.

Dopo 5 mesi e 4 bitcoin macinati (minati), mando in garanzia la prima delle 9 macchine acquistate. Anche gli altri 8 hanno macinato in media la stessa cifra. Quelli con più banda internet hanno prodotto di più, quelli con un canale più lento un po’ meno.

PP = piccola pausa: inutile che interrompiate adesso la lettura e che veniate a chiedermi prestiti, ho sperperato tutto comprando quote di un ospedale privato in una riserva indiana Navajo e acquistando una proprietà in territorio Hamish?

Andiamo avanti fino alla fine della storia.

Ora. Contando i numeri qui sopra si potrebbe desumere che siamo giunti oggi ad un totale di 34 BTC più i 10 rimasti dai 25 iniziali che avevo, ossia, oggi potrebbero essere quasi 167.000 euro e arrivare al mezzo milione in pochi giorni. No, non è così. Parlo al condizionale perché nel frattempo è successo qualcos’altro. Torniamo indietro. I macchinetti minavano da un mese. Avevo già ricavato quasi 7 bitcoin.

Poi un amico mi parla dei Ripple, un’altra criptovaluta emergente. Guardo. Ne compro 100.000 dollari. Nota bene, il bitcoin il 9 di ottobre del 2019 era a 3.800 euro, ma poi il 15 ottobre arriva a 4.800 euro. Io avevo meno di 20 bitcoin all’epoca. Quasi 100.000 euro in tasca.

Conclusioni

Concludendo, oggi siamo giunti al paradosso che consente ad un essere umano di stare chiuso in una stanza a comprare e vendere monete virtuali per tutto il giorno, consumando risorse senza contribuire alla crescita dell’umanità, pur rendendosi autosufficiente e anzi florido di solvibilità e risorse.

Ciò che ci rimane da fare è crescere, ma non quella crescita che auspicano gli economisti del consumo, bensì una crescita interiore di ciascuno.

Quel qualcosa che oggi manca e che ci permetterebbe di sfruttare le risorse che abbiamo, sia per produrre nuove economie esportabili che per generare grandi invenzioni che rivoluzionino i mercati esistenti. Questo pagherebbe nel medio lungo periodo anche come ritorno di conoscenze, indotto e quindi maggiore economia relativa.

Redazione
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