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Cyberbullismo e terrore digitale: perché il fumetto di Betti ti fa sentire a disagio (e fa bene così)

Cyberbullismo e terrore digitale: perché il fumetto di Betti ti fa sentire a disagio (e fa bene così)

Andrea Gioia Lomoro : 25 Giugno 2025 22:22

Quando ho deciso di scrivere questa storia di Betti, non era certo per fare un fumetto “carino” o “facile”, da leggere in un pomeriggio assolato al mare e da dimenticare il giorno dopo. No, nasce dal bisogno urgente di raccontare una realtà che anch’io ho visto, sentito e vissuto, senza filtri, né abbellimenti.

Certo non mi riferisco alla realtà del bullismo digitale, ma di quello vecchio stile anni ’70, quando i “praticoni” di una scuola di periferia, con ben poca simpatia, decisero di farmi diventare il loro bersaglio per qualche risata.  Il bullismo, oggi digitale, specie in una scuola, non è mai una storia a lieto fine che si risolve con un “E vissero felici e contenti”. È piuttosto un labirinto oscuro, dove ogni passo falso può significare perdere qualcosa di più grande: la dignità, la fiducia e a volte, purtroppo, persino se stessi.

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Ho scritto questo episodio di Betti, quindi, perché credo che la narrativa, specie quella pop, abbia il dovere di affondare le mani nelle pieghe più scure della realtà. E se questa realtà ha mura scrostate e corridoi rumorosi, allora meglio calarcisi dentro senza filtri. La storia si dipana, ovviamente, in quel luogo emblematico che è la scuola, situata, per esigenze narrative, nella periferia di Roma. Ma tranquilli, presidi di altre città: non puntate il dito sulla Capitale, che anche da voi, ne sono sicuro, non manca mica!

L’edificio è quasi un personaggio a sé, con i suoi banchi consumati e quella polvere che sembra incrostata sulle anime degli studenti. Ma quello che inquieta davvero non è la scuola in sé, è l’atmosfera. Quella tensione che si respira tra gli sguardi sfuggenti, le voci sussurrate e il silenzio pesante che racconta storie mai dette, ma sentite da tutti. Betti arriva come supplente di matematica. Ma non si ferma alla superficie. Vede qualcosa che altri professori non riescono a notare, Morena, una ragazza fragile e invisibile, la vittima perfetta del bullismo che si muove nell’ombra e sulle pagine di Instagram. “La ragazza balena”: un’etichetta tossica alimentata da immagini manipolate, video distorti, commenti velenosi. Un incubo digitale che non si spegne quando si esce dalla scuola.

Betti non è solo un personaggio. È chi ha scelto di non voltarsi dall’altra parte (e, per fortuna, di Betti ce ne sono) in quella periferia un po’ dimenticata, dove si nascondono i veri mostri: non solo i ragazzi che fanno bullismo, ma un sistema che li usa per mandare avanti ricatti, manipolazioni e creare silenzi troppo pesanti per essere ignorati. In questa storia, il bullismo non è solo fatto di schiaffi o spintoni, ma soprattutto di pixel e “like” che possono diventare armi affilate. Il profilo Instagram anonimo che umilia Morena, i 200 “like” che trasformano la sofferenza in uno spettacolo pubblico, sono la prova che la tecnologia può amplificare la cattiveria, renderla virale, incontrollabile.

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Non ti mentirò: quando ho scritto di Morena sulla terrazza, pronta a sparire nel vuoto, mi sono fermato a pensare. E forse anche tu, leggendo, ti sei ritrovato a sfiorare quel pensiero, quel momento fragile in cui tutto sembra troppo pesante da sopportare. Oppure, ti sarà capitato di incrociare quello sguardo spento, e chiederti in silenzio: “Cosa posso fare, io?”. È questa domanda che ho cercato di inserire in ogni vignetta. Non perché io abbia la soluzione (chi ce l’ha, dopotutto?), ma perché non possiamo permetterci di ignorare quelle storie, nemmeno nelle pieghe più invisibili della nostra società.

Il fumetto fa qualcosa di potente: mostra che il bullismo digitale non è sempre solo un problema di adolescenti sconsiderati. Dietro c’è un “fratello maggiore”, oscuro, che fa da burattinaio; c’è la complicità del silenzio e c’è la paura che tiene incastrati i ragazzi come in una ragnatela. Questa è la parte più inquietante, ma anche la più reale. Dietro il bullismo c’è sempre qualcosa di più grande, una rete di paura, ricatti, silenzi. Non basta “denunciare” o “bloccare” un profilo. Il problema è sistemico, e in Betti lo raccontiamo senza giri di parole.

E poi c’è il lato umano, a tratti fragile, a tratti sorprendente. Un ragazzo che, dopo aver camminato sull’orlo del baratro, sceglie di raccontare la sua verità davanti a una scuola intera e una ragazza che si alza e, senza urlare, restituisce dignità a chi pensava di essere invisibile. Sono momenti che ti fanno capire che anche nelle situazioni più nere si può trovare una scintilla, una possibilità di riscatto. Se ancora ti stai chiedendo “Ma perché scaricare e leggere questo fumetto?” la risposta è semplice: perché non puoi permetterti di ignorare il mostro che si nasconde dietro uno schermo. Perché questo non è un fumetto per bambini o per chi cerca solo intrattenimento. È un pugno nello stomaco che ti fa riflettere, sorridere amaro e, forse, agire.

E ti dico un’ultima cosa, con un po’ di ironia che mi concede il ruolo di sceneggiatore: se pensi che basti spegnere il telefono per essere al sicuro, beh, Betti ti farà ricredere. Perché l’ombra del fratello maggiore è ancora lì, tra le mura scrostate della scuola, pronta a bussare alla porta di chiunque. E allora, se vuoi solo una lettura leggera, passa oltre. Ma se vuoi metterti in gioco, se vuoi capire come il digitale abbia trasformato il bullismo in qualcosa di più insidioso, allora questo Betti è il fumetto che devi leggere. In fondo, io credo che la vera libertà, quella che ci raccontiamo nei romanzi e nei film, passi anche da qui: da storie come Betti che ci ricordano che non possiamo mai smettere di guardare, di ascoltare, di combattere.

Perché nel mondo digitale, come nella vita, l’indifferenza è il peggior nemico. A chi legge non resta che una scelta: guardare o girarsi dall’altra parte. Io, per fortuna, ho scelto la prima, ma forse per me è più facile perché ho sempre con me un’arma potente: la penna.

ps. A proposito, ai vecchi “praticoni” di cui vi raccontavo non andò molto bene…

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Immagine del sitoAndrea Gioia Lomoro
Scrittore, autore e regista romano, lavora per teatro, cinema e TV. Appassionato di musical, ha scritto tre opere originali. È anche fotografo, con mostre in sedi prestigiose e copertura di Rai e Sky. Finalista a premi come i David di Donatello, ha pubblicato testi editoriali e il romanzo Frontiere (Rossini Editore). Betti è il suo primo fumetto, ora al quarto episodio.

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