
Nonostante gli sforzi del suo avvocato per ottenere una misura alternativa, Carmelo Miano, il giovane hacker di Gela, rimane in carcere. Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la decisione di mantenere la sua detenzione presso Regina Coeli, rifiutando la richiesta di scarcerazione.
La sua detenzione è il risultato di un’inchiesta che lo accusa di aver violato i sistemi informatici del Ministero della Giustizia, accedendo illegalmente a 46 indirizzi email, tra cui quelli di figure di spicco come Nicola Gratteri e Raffaele Cantone. Nonostante abbia ammesso alcuni dei reati, la gravità delle accuse ha reso difficile ottenere un alleggerimento della sua pena
Mentre le indagini iniziano a scavare sul caso, iniziano a fuoriuscire ulteriori informazioni dove sembra che Miano abbia fornito assistenza alle forze dell’ordine. Secondo quanto riportato, Miano ha offerto le sue competenze all’FBI (Federal Bureau of Investigation statunitense) e all’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), contribuendo a importanti operazioni internazionali, in particolare contro reti di pedopornografia.
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La sua collaborazione ha coinvolto anche la Polizia Postale, che ha comunque eseguito il suo arresto nell’ambito dell’inchiesta legata alla violazione del sistema informatico del Ministero. Questo contributo non è stato però sufficiente a risolvere la sua situazione giudiziaria, lasciando molti dubbi sulla sua reale posizione dell’hacker italiano.
Uno dei punti più oscuri della vicenda di Carmelo Miano (e non facilmente ricostruibile) riguarda la sua presunta partecipazione nei mercati neri del dark web, in particolare il “Berlusconi Market”. Questo mercato, conosciuto per il traffico illegale di beni e servizi, è stato oggetto di indagini, e Miano potrebbe aver avuto un ruolo nel suo funzionamento.
Le autorità hanno sequestrato 7 milioni di euro a Miano, ma non è ancora chiaro come questi fondi siano stati prelevati e da dove provengano. Alcuni sospettano che Miano abbia sottratto questi fondi addirittura ad altri criminali informatici, oppure che abbia acquisito tali fondi acquistando Bitcoin all’inizio della storia della famosa criptovaluta. Questa ambiguità rimane uno degli elementi centrali del caso, con ulteriori sviluppi che potrebbero emergere dalle indagini.
La domanda principale che rimane irrisolta è se Carmelo Miano abbia agito solo per collaborare con le autorità o se abbia utilizzato le informazioni raccolte per guadagno personale. Sebbene il suo avvocato insista sul fatto che Miano abbia agito con l’intento di aiutare le forze dell’ordine, restano forti sospetti sul suo coinvolgimento in attività illegali. Le autorità stanno ancora analizzando una vasta quantità di dati informatici sequestrati durante la perquisizione della sua abitazione, che potrebbero chiarire meglio la sua posizione. Il suo avvocato, Gioacchino Genchi, ha sottolineato che Miano non ha beneficiato personalmente delle informazioni acquisite, ma il caso resta aperto, e nuovi sviluppi potrebbero emergere.
La strategia difensiva di Genchi è basata sull’argomentazione che Carmelo Miano sia un hacker estremamente abile, tanto da poter compromettere l’intero sistema giudiziario italiano, ma che non lo abbia fatto perché non è un criminale. Genchi ha dichiarato che Miano aveva accesso a informazioni sensibili, come le caselle di posta delle procure e delle direzioni antimafia, ma ha scelto di non utilizzarle a fini illeciti. Secondo Genchi, Miano si è concentrato solo sui dati che lo riguardavano personalmente, spinto dall’ossessione per le indagini in corso su di lui.
Carmelo Miano rappresenta ad oggi una figura controversa, in bilico tra l’immagine di un collaboratore delle autorità e quella di un hacker che potrebbe aver sfruttato le sue abilità per scopi personali. Il suo futuro rimane incerto, e il caso continua a destare grande attenzione a livello nazionale.
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