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La cybersecurity è emergenza nazionale. Ci stiamo finalmente arrivando

Redazione RHC : 22 Aprile 2022 16:06

  

Oramai anche la politica è cosciente del fatto che siamo messi davvero male sul piano della sicurezza informatica e che le guerre, si “guerreggeranno” sempre di più attraverso attacchi informatici e questo metterà a rischio paesi, singoli cittadini e vite umane.

Perché’ la cybersecurity oggi è tutta attorno a noi.

E’ all’interno di un ascensore, dentro una macchina, dentro i nostri device sanitari. Insomma, la cybersecurity oggi è una “emergenza nazionale”.

Infatti, il sottosegretario Franco Gabrielli intervenendo alla presentazione del “1° Rapporto Censis-DeepCyber: il valore della cybersecurity” sulla sicurezza cibernetica in Italia ha detto:

“La vicenda bellica in Ucraina non ha al momento rappresentato nessun tipo di innalzamento degli attacchi. Questo non vuol dire che non ci saranno e che le nostre infrastrutture non saranno attaccate”

Ma la preoccupazione emerge soprattutto dai dati che escono fuori dal rapporto, dove troviamo di seguito uno screenshot.

Il 34% degli italiani non vuole formarsi sulla cybersecurity.

Questo fa comprendere che ancora oggi non è chiaro cosa può produrre un attacco informatico, in termini di rischi verso la popolazione e verso i singoli cittadini. Su questo dobbiamo fare tutti molto di più.

Ma almeno (diciamo almeno perchè sono comunque numeri molto bassi), il 61,6% del campione è preoccupato per la sicurezza informatica. Di questi l’82% ricorre a software e app per proteggersi, mentre il 18% si rivolge ad un esperto.

Ma la cosa più preoccupante è che circa il 30% della popolazione, anche essendo preoccupato per la sicurezza informatica non fa nulla per difendersi.

Per fortuna che almeno partendo dalle scuole, il 70% dei laureati risulta attento a questo fenomeno, mentre il 50% di chi esce dalle scuole medie, dice di essere consapevole ai rischi informatici (dovremmo comprendere in effetti con precisione quello che gli è stato richiesto).

In sintesi, “Quattro italiani su dieci non si difendono” e questo non è ammissibile avendo oggi una “vita digitale perennemente connessa”, in quanto i rischi possono mettere in pericolo non solo i nostri dati e la nostra privacy, ma anche le nostre vite.

Gabrielli infatti riporta che “Dobbiamo essere preoccupati” parlando di cybersecurity “in senso etimologico: ce ne dobbiamo occupare prima”.

Ma “prima”, come dice Gabrielli, come abbiamo sempre insistito su queste pagine, non vuol dire solo implementare programmi di sicurezza informatica più verticali, che possano prevenire un eventuale attacco informatico, ma dobbiamo:

riuscire ad iniettare all’interno del nostro DNA quella consapevolezza al rischio informatico per raggiungere, quello che spesso su RHC abbiamo chiamato “effetto cintura di sicurezza”, dal quale siamo ancora molto lontani.

Dobbiamo lavorare affinché quel 70% di laureati e quel 50% di ragazzi delle scuole medie raggiungano il 100% relativamente alla conoscenza della consapevolezza al rischio.

Stiamo facendo molto, è vero e finalmente la politica si sta interessando a questo problema.

Ma purtroppo dobbiamo fare ancora di più, o meglio dire trovare modi non convenzionali rispetto a quello che abbiamo fatto fino ad oggi per stimolare questa crescita iniziando dai giovani, che sono il nostro futuro, il futuro della nostra nazione e il futuro dei nostri figli.


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