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La trasformazione digitale nel Golfo: i modelli di sviluppo tecnologico

La trasformazione digitale nel Golfo: i modelli di sviluppo tecnologico

Autore: Matteo Giada
5 Dicembre 2025 07:35

Nel Golfo è tempo di grandi cambiamenti geopolitici.

Risulta evidente da tempo che le dinamiche fra i grandi attori mediorientali stiano infatti attraversando profondi mutamenti.

I fattori da considerare in questa equazione in divenire includono naturalmente il rapporto con Israele e la causa palestinese, ma non solo. La corsa alla digitalizzazione e all’AI, lo sviluppo di nuovi ecosistemi tecnologici, uniti alle preoccupazioni securitarie delle monarchie del Golfo, stanno infatti creando una certa divergenza fra quelli che sono i modelli e gli obiettivi strategici degli attori statali nell’area arabica.


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Fra tutti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar si distinguono per sforzo di proiezione della propria influenza all’estero, quanto per le scelte progettuali, economiche e di natura militare. Il maggiore campo di confronto per i regni arabi rimane comunque quello tecnologico, in quanto le monarchie del Golfo condividono una sfida comune: ridefinire le loro economie strutturalmente basate sugli idrocarburi verso nuovi archetipi di economie digitali attraverso investimenti massicci in intelligenza artificiale (AI), infrastrutture tecnologiche e capitale umano.

Pur condividendo l’obiettivo di modernizzazione e diversificazione, quindi, ciascuna nazione ha adottato un orientamento strategico differente, coerente con le proprie caratteristiche socioeconomiche, politiche e geografiche.

La trasformazione digitale nel Golfo si colloca all’interno di un processo di rinnovamento strutturale che coinvolge l’intera regione e che trova nelle monarchie petrolifere attori accomunati da un set di condizioni strutturali simili: risorse finanziarie significative, forte centralità dell’esecutivo nella definizione delle priorità di investimento e una crescente consapevolezza della necessità di diversificare le economie nazionali.

Le analogie emergono innanzitutto sul piano degli obiettivi generali. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar convergono nella volontà di costruire economie basate sulla conoscenza tecnica, attraendo talenti, sviluppando capacità tecnologiche avanzate e posizionandosi così come poli regionali nella digital economy e nei servizi ad alta specializzazione. Tutti e tre hanno inoltre adottato strategie nazionali di lungo periodo (la Vision 2030 saudita, la UAE Centennial 2071 e la Qatar National Vision 2030) che collocano la trasformazione digitale tra i pilastri della sicurezza economica futura.

Sul piano degli strumenti, esiste una dinamica comune: i tre governi guidano direttamente la trasformazione tramite fondi sovrani, programmi industriali e investimenti infrastrutturali di larga scala. Il Public Investment Fund saudita, Mubadala e ADQ negli Emirati e il Qatar Investment Authority sono enti centrali non solo della diversificazione economica, ma anche della costruzione di un ecosistema digitale nazionale basato su data center, cloud, investimenti in semiconduttori e programmi di IA.

Le strategie nazionali dell’IA confermano questa convergenza: la Saudi Data & AI Authority (SDAIA) dal 2019 ha il compito di costruire un’economia data-driven con obiettivi misurabili, tra cui l’aumento del contributo dell’IA al PIL entro il 2030; gli Emirati sono stati il primo paese al mondo a nominare un Ministro per l’Intelligenza Artificiale già nel 2017 e hanno lanciato il piano UAE AI Strategy 2031; il Qatar, tramite l’iniziativa TASMU, punta a utilizzare infrastrutture digitali per migliorare servizi pubblici, smart government e industria, affiancando investimenti significativi nell’istruzione avanzata e nei centri di ricerca, come la Qatar Foundation e la Qatar Computing Research Institute, le quali giocano un ruolo essenziale nella formazione di capitale umano specializzato.

Se queste analogie descrivono la traiettoria generale della regione, le differenze emergono nella declinazione concreta del quadro di sviluppo. Il Regno Saudita sta costruendo un modello caratterizzato da una fortissima centralizzazione, con enormi progetti come NEOM che prevedono infrastrutture digitali integrate, smart cities, reti di sensori, data center di scala regionale e collaborazioni industriali per costruire un tessuto tecnologico nazionale capace di attrarre aziende globali.

Gli Emirati adottano invece un approccio più diversificato e competitivo, basato su poli urbani specializzati (Dubai come hub fintech, Abu Dhabi come polo industriale e militare avanzato) e un forte coinvolgimento del settore privato internazionale tramite free zones, politiche fiscali favorevoli e programmi governativi orientati alla collaborazione con multinazionali, startup e centri di ricerca stranieri. Il Qatar, infine, sviluppa un modello più compatto ma ad alta densità di capitale umano, puntando meno sul gigantismo infrastrutturale e più sull’istruzione, la ricerca, la cybersecurity e l’attrazione di università e laboratori internazionali nel quadro di Education City.

L’emirato qatariota ha infatti scelto un approccio maggiormente istituzionale che mira a integrare tecnologia e governance pubblica in modo misurato, senza la stessa accelerazione visibile negli Emirati o nella Vision saudita.

Le divergenze strategiche non riguardano solo la struttura delle architetture digitali ma anche la configurazione di alleanze esterne. È qui che subentra il grande tema della normalizzazione con Israele. L’apertura diplomatica degli Emirati inaugurata con gli Accordi di Abramo del 2020 ha infatti accelerato la possibilità di cooperazione tecnologica con uno dei principali centri mondiali in termini di cybersecurity, difesa digitale e tecnologie dual-use.

Fonti pubbliche confermano accordi industriali e militari tra aziende emiratine e israeliane, incluse collaborazioni su sistemi autonomi e scambio di competenze nel campo della cyber-difesa. Questa cooperazione, pur non costituendo l’asse principale della strategia digitale emiratina, amplia l’accesso a know-how avanzato e rafforza la capacità degli EAU di posizionarsi come hub di sicurezza digitale e innovazione regionale.

L’Arabia Saudita adotta una posizione più prudente. Non esistono accordi ufficiali e la normalizzazione rimane un tema diplomaticamente aperto, sebbene estremamente sensibile a livello di opinione pubblica interna. Tuttavia, la ricerca di tecnologie avanzate nel settore della difesa, la crescente integrazione con gli Stati Uniti e il ruolo del PIF nella costruzione di joint venture internazionali indicano che Riad valuta seriamente scenari di cooperazione tecnologica con Israele, se e quando il quadro politico lo renderà possibile. Per il Qatar, la situazione è piuttosto diversa.

A differenza delle altre due monarchie, Doha, che rimane mediatore diplomatico nel conflitto israelo-palestinese, mantiene una posizione distante da eventuali accordi con lo Stato ebraico, come testimoniato dall’attacco missilistico che ha colpito la capitale nel mese di settembre. Il Qatar concentra infatti le proprie alleanze digitali su Stati Uniti, Turchia, Unione Europea e partner asiatici, sviluppando un modello di autonomia strategica in cui l’innovazione tecnologica si integra con la proiezione diplomatica e con il ruolo geopolitico del Paese.

La trasformazione digitale delle tre monarchie del Golfo nasce dunque da simili condizioni ma produce modelli distinti. L’Arabia Saudita punta ad un’idea di potenza regionale fondata su capacità infrastrutturali senza precedenti e sul protagonismo statale; gli Emirati scelgono un approccio policentrico, competitivo e aperto all’integrazione di capitale privato e partnership esterne, incluse quelle con Israele; il Qatar investe in capitale umano, ricerca e governance tecnologica per consolidare un ecosistema agile e meno dipendente da dinamiche geopolitiche controverse.

Ciò che accomuna i tre paesi è la consapevolezza che la competizione digitale è ormai una dimensione strutturale della sicurezza nazionale. Ciò che li distingue, invece, è il paradigma attraverso cui trasformare questa consapevolezza in influenza regionale e resilienza economica nel lungo periodo.

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Matteo Giada

Analista di sicurezza internazionale e scenari geopolitici, specializzato in temi di cybersecurity, cyberwarfare e protezione di infrastrutture critiche.

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