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Tecnologia italiana: la CEP, la storia della calcolatrice elettronica Pisana.

Redazione RHC : 23 Maggio 2021 08:00

Correva l’anno 1954, mentre in Italia iniziavano ufficialmente le trasmissioni televisive, Ernest Miller Hemingway vinceva il premio nobel per la letteratura, negli USA, la Texas Instruments annunciava la costruzione della prima radio a transistor e in Inghilterra moriva Alan Mathison Turing mentre a Pisa accadeva qualcosa di molto particolare.

Le province e i comuni di Pisa, Livorno e Lucca mettevano a completa disposizione dell’Università la cifra ragguardevole di 150 milioni di lire per una tecnologia italiana. La lungimirante idea era quella di dotare l’Università di Pisa di un apparecchio scientifico di grande valore che, da un lato, avesse una grande influenza sull’opinione pubblica e, dall’altro, consentisse all’Università di accrescere il proprio livello internazionale.

Sembra incredibile, e invece il rapporto tra Enti Locali e Università era attivo sin dal periodo prebellico, durante il quale le province, in primis e, successivamente, i comuni e le camere di commercio del bacino di attrazione dell’Università di Pisa, attuarono una politica di sostegno nei confronti della stessa, una cosa completamente impensabile pensando ad oggi.

Ma come utilizzare tutti quei soldi?

L’idea iniziale era quella di costruire un elettrosincrotrone da un miliardo di elettronvolt nelle vicinanze di Pisa e gli studi per realizzarlo furono portati a termine nell’Istituto di Fisica dell’Università di Pisa. Era tutto pronto, quando durante un convegno di Fisica tenutosi quell’anno a Varenna, vennero avanzate alternative per impegnare i fondi ricevuti. La proposta con maggiori consensi fu di costruire un calcolatore elettronico, soluzione più economica all’acquisto diretto di una macchina. Tale idea venne appoggiata da Enrico Fermi con una lettera inviata al rettore dell’Università di Pisa, Enrico Avanzi, sotto richiesta di Marcello Conversi, direttore dell’Istituto di Fisica pisano.

A fronte del fermento pisano, cosa succedeva nel resto dell’Italia?

Nell’ambiente accademico era abbastanza diffusa la convinzione che la costruzione di calcolatrici elettroniche fosse compito esclusivo delle industrie e non degli istituti di ricerca o delle Università, che potevano al più acquistarli. A tale riguardo, in quello stesso periodo, altri due Enti di ricerca si stavano muovendo per dotarsi di una calcolatrice elettronica: il Politecnico di Milano e l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo di Roma (INAC) diretto dal Professor Mauro Picone. La loro scelta però, fu diametralmente opposta rispetto a quella presa a Pisa: si rivolsero rispettivamente alla National Cash Register & Co. (USA) e alla Ferranti (GB) per acquistare le prime due calcolatrici elettroniche che entrarono in funzione in Italia.

Più precisamente, la prima calcolatrice elettronica ad entrare in funzione in Italia fu la CRC102A, che fu portata personalmente dal Professor Luigi Dadda dagli USA in Italia (via mare) e installata a Milano presso l’Istituto di Elettrotecnica Generale nell’ottobre del 1954. Dopo circa un anno cominciò invece a funzionare la MARK I STAR dell’INAC, che fu ribattezzata FINAC (Ferranti-INAC).


La CRC102A

La FINAC

Ritornando a Pisa, il parere emerito di Fermi semplificò moltissimo il percorso di approvazione del progetto da parte dei vari organi politici e scientifici, ma risulta sorprendente con quanta celerità questi passaggi furono realizzati. In particolare:

  • agosto 1954: lettera di Fermi al rettore di Pisa;
  • ottobre 1954: il CIU approva il progetto di costruzione di una calcolatrice elettronica;
  • aprile 1955: con delibera del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione viene istituito il CSCE.

Ma quali erano gli scienziati da portare a bordo in questo fantascientifico progetto?

Si pensò di suddividere le persone incaricate alla costruzione in due gruppi, uno comprendente ingegneri interessati al campo dell’elettronica ed un secondo gruppo rappresentato da fisici (specialmente quelli teorici) e matematici. Fu il Professor Marcello Conversi a individuare un primo gruppo costituito da tre giovani fisici teorici costituito da Alfonso Caracciolo di Forino, Elio Fabri e Sergio Sibani, che si trasferirono da Roma a Pisa, dove elaborarono il progetto, con annessi piano di lavoro e piano finanziario. Al progetto collaborarono altri due ricercatori, Mario Tchou e Giuseppe Cecchini, che con i primi tre costituirono il cosiddetto Gruppo Esecutivo (GE).

Caratteristica comune a queste cinque persone era l’età: tutti avevano meno di trent’anni.

Negli anni ‘50 le calcolatrici meccaniche e le macchine per scrivere Olivetti stavano conoscendo un successo su scala mondiale, ottenendo riconoscimenti sia per la loro qualità che per il loro design (diverse sono le macchine Olivetti esposte al quarto piano del Museo di Arte Moderna di New York). Ma l’avvento dell’elettronica non poteva lasciare indifferente un uomo dal grande intuito quale era Adriano Olivetti (figlio di Samuel David Camillo Olivetti, fondatore nel 1908 della società “Ing. C. Olivetti e C., prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere”), che in quegli anni era saldamente al comando dell’azienda.

Egli fiutò nell’impresa pisana una occasione per specializzare ingegneri e tecnici alle sue dipendenze.

In cambio avrebbe offerto all’Ateneo pisano non solo contributi economici, ma anche il supporto di persone da assumere a cura della propria azienda. Tra queste c’erano Giuseppe Cecchini, Sergio Sibani e Mario Tchou, assunto dall’azienda di Ivrea per il suo alto grado di preparazione nel campo dell’elettronica, ma soprattutto per le sue capacità manageriali.

Ma poteva bastare all’Olivetti di quei tempi prestare al progetto CEP qualche ingegnere? Ovviamente non bastò. Decisero infatti di istituire a Barbaricina, presso Pisa, il Laboratorio di Ricerche Elettroniche Olivetti, col compito di progettare una calcolatrice di tipo commerciale, quella che fu poi chiamata ELEA 9003. Le differenze sostanziali tra le calcolatrici scientifiche e commerciali riguardavano le elevate prestazioni dell’unità di calcolo e le flessibilità di programmazione delle calcolatrici scientifiche, rispetto alle calcolatrici commerciali, che davano invece priorità alle periferiche ed al loro controllo.


La ELEA 9003

Il progetto richiesto al Gruppo Esecutivo fu terminato alla fine del 1955 e, rileggendolo, impressiona come fosse dettagliato sia dal punto di vista tecnico, che da quello finanziario e temporale. Fu stimato un tempo di quattro anni per terminare il lavoro, anche se era previsto che il Centro sarebbe stato dotato di una macchina già funzionante, sebbene con capacità ridotte, entro i primi due anni.

Può essere interessante sapere che il costo previsto per i ricercatori delle due sezioni (teorici e ingegneri) era identico e ammontava a £ 1.200.000 l’anno. Utilizzando i codici di rivalutazione ISTAT, si può stimare che i componenti del Gruppo Esecutivo, oggigiorno avrebbero percepito una paga mensile lorda di circa 1.700 euro.

Analizzando il progetto si può inoltre scoprire che il componente più costoso era rappresentato dal tamburo magnetico, che costituiva la memoria secondaria della calcolatrice il cui costo di realizzazione fu stimato in £ 18.000.000, mentre la memoria principale sarebbe costata £ 9.300.000.

Sono passati più di 50 anni da quelle stime e provando ad attualizzare quelle previsioni di costo, con qualche semplice calcolo, soltanto la RAM e l’HARD DISK di un pc moderno (1,75 GB/150 GB) sarebbe costato più di 100 Milioni di euro!

Nel primo periodo d’esistenza del CSCE (Centro studi calcolatrici elettroniche), il lavoro fu affrontato su due diversi fronti: da una parte si ebbe lo studio delle caratteristiche logiche della macchina definitiva e la sperimentazione dei suoi principali circuiti, dall’altra ci fu la definizione del progetto e la realizzazione del suo prototipo, che fu battezzato con il nome di Macchina Ridotta (MR). In realtà la macchina ridotta fu concepita come parte integrante della CEP, che ereditò dal suo prototipo circa la metà delle sue parti componenti e, anche se era una macchina dalle caratteristiche semplici e limitate, fu sorprendete come potesse risolvere problemi di una certa complessità.

La MR fu completata a metà del 1957 e fino alla fine del 1958 fu utilizzata oltre ogni previsione per svolgere calcoli di vario tipo.


La macchina ridotta

Accanto al prezioso contributo che offrì la Olivetti al progetto CEP, ci furono altri enti di ricerca che con il passare del tempo si avvicinarono a diverso titolo al CSCE. Primo fra tutti va ricordato l’Istituto Nazionale Fisica Nucleare (INFN) il cui direttore era il Prof. Gilberto Bernardini, che da subito si impegnò a garantire il funzionamento della calcolatrice con un contributo annuo di £ 15-20 milioni attraverso l’istituzione, a Pisa, di una sezione stabile dell’Istituto da lui presieduto. Questo impegno diede un’ulteriore spinta propulsiva all’iniziativa Pisana ed in seguito si ò in un rapporto proficuo e duraturo, da considerare fondamentale ai fini del successo allora sperato e poi ottenuto.

In un secondo momento, altri due enti di ricerca si avvicinarono al Centro contribuendo in vario modo alla sua attività e, più precisamente, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e il Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN) ora ENEA.

Bisogna sinceramente dire che i tempi previsti per portare a termine la CEP non furono rispettati, poiché, dai quattro anni previsti, in realtà se ne impiegarono cinque. Un anno di ritardo non è irrilevante nel campo informatico, infatti nel frattempo lo scenario era completamente cambiato e solo in Italia si contavano più di 20 calcolatrici elettroniche in funzione, tra cui molte erano completamente transistorizzate. A questo riguardo, uno dei pochi limiti della CEP, se tale può essere considerato, fu quello di essere stata costruita nel periodo in cui venivano alla ribalta i primi transistor. Questo fece si che la sua elettronica fosse composta in parte da valvole e in parte da transistor, ponendo quindi la CEP a cavallo tra la prima e la seconda generazione di calcolatori. Costruita prima o dopo, probabilmente, avrebbe avuto un peso ancora maggiore nel panorama mondiale, anche se la flessibilità di programmazione, la grande capacità di memoria e l’elevata velocità di calcolo, erano le peculiarità che permettevano alla CEP di essere una tra le calcolatrici più potenti in Europa.


Vista di insieme della CEP

Altra vista di insieme della CEP

Siamo nel 1961, Jurij Gagarin è il primo uomo nello spazio, a Honolulu nasce Barack Hussein Obama Jr. e nello storico locale Cavern Club di Liverpool si tiene il primo concerto dei Beatles.

Nel mese di novembre dello stesso anno, alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, viene inaugurata la Calcolatrice Elettronica Pisana.

In realtà la CEP entrò in funzione all’inizio dell’anno e rimase a disposizione dei ricercatori del CSCE e di tutti i ricercatori dell’Università di Pisa per ben 7 anni, utilizzata dalle 2.000 alle oltre 4.000 ore l’anno.

Fonte

http://www.cep.cnr.it/

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