
Nel corso del 2024 sono arrivati diversi segnali di un cambio di passo nel rapporto tra istituzioni e criptovalute. Il 6 marzo, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che introduce una “riserva strategica di Bitcoin”, impegnando il governo statunitense a non vendere i circa 200.000 BTC già in suo possesso e ad aumentare le scorte senza incidere sul bilancio federale.
Il 18 luglio è stato poi approvato il Genius Act, che definisce un quadro normativo per le stablecoin ancorate al dollaro. Pochi giorni dopo, il 1° agosto, Hong Kong ha reso operativa la sua nuova regolamentazione sulle stablecoin, con un sistema di licenze e requisiti sulle riserve a tutela del rimborso.
Dopo sedici anni di sviluppo in un contesto di sostanziale assenza di controlli pubblici, un settore nato come terreno anarchico e decentralizzato supera oggi i 3,5 trilioni di dollari di capitalizzazione. Le recenti iniziative legislative mostrano come le criptovalute si stiano progressivamente inserendo nell’architettura finanziaria globale.
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Due tradizioni intellettuali hanno influenzato questo ecosistema: da un lato la corrente “cypherpunk” degli anni ’90, che vedeva nella crittografia uno strumento per difendere privacy e libertà individuale; dall’altro la riflessione economica ispirata al saggio di Friedrich Hayek del 1976, La denazionalizzazione della moneta. Ripercorrere le teorie di Hayek consente di ricostruire l’evoluzione del denaro, l’origine del monopolio statale sulla coniazione e i tentativi di introdurre forme di valuta privata, oggi replicati nel cyberspazio.
Le prime forme di scambio non nacquero come invenzione governativa, ma come risultato spontaneo delle interazioni tra gruppi umani. Prima del 4000 a.C., comunità di poche centinaia di persone barattavano beni tramite “valute naturali” come bestiame, sale, conchiglie o cereali. Questi mezzi consentivano di conservare valore e facilitare le transazioni, pur presentando limiti legati alla scarsa portabilità e divisibilità.
Con il progresso della metallurgia e la crescita delle città-stato, metalli come oro, argento e rame iniziarono a circolare per le loro caratteristiche fisiche più adatte agli scambi. Le transazioni si basavano sul peso e sulla purezza del metallo, un sistema noto come “moneta a pesatura”.
Il passaggio decisivo avvenne nel VI secolo a.C., quando il Regno di Lidia, nell’odierna Anatolia occidentale, emise le prime monete metalliche standardizzate. La posizione geografica, al centro di importanti rotte commerciali, e la disponibilità del prezioso elettro – una lega naturale di oro e argento presente nei depositi del fiume Paktoros – favorirono questo sviluppo. Le monete recavano il simbolo della dinastia, la testa di un leone, e avevano peso e purezza certificati, riducendo i tempi di valutazione e rendendo più agevoli gli scambi.
Dalla seconda metà del VII secolo a.C., la pratica si diffuse rapidamente alle città-stato dell’Egeo e all’Impero persiano, imponendosi nell’arco di un secolo come modello monetario. Nel V secolo a.C., Grecia, Persia e gran parte del Mediterraneo avevano adottato sistemi di coniazione centralizzati.
Un’evoluzione analoga caratterizza la storia della carta moneta, inizialmente frutto di iniziative private e solo in seguito oggetto di monopolio statale.
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