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Tutti pazzi per le schede telefoniche.

Laura Primiceri : 30 Maggio 2021 09:00

  

Avevamo in qualche modo introdotto l’argomento quando abbiamo parlato delle cabine e dei telefoni pubblici (parte 1 e parte 2, se ve lo foste persi). Il topic era però troppo hot per farlo rimanere tra le righe, meritava una puntata tutta sua. Chi di noi non ci ha subito pensato?

Un’invenzione tutta italiana

Lo sapevate che la scheda telefonica è un’invenzione made in Italy? Come per tutte le innovazioni che riguardano il telefono fino al nuovo millennio, anche qui c’entra la SIP. Alla fine degli anni ’70 l’Ente di Stato si trovava di fronte a un bel dilemma: la manutenzione dei telefoni pubblici stava diventando molto onerosa perché i gettoni facevano gola ai ladri che scassinavano e danneggiavano gli apparecchi. Inoltre, gli stessi gettoni e le monete erano pesanti e scomodi. Di certo, le tasche non potevano portarne più di una certa quantità e questo limitava i guadagni. Come risolvere? Intuizione: con una scheda di carta con banda magnetica che conteneva un certo numero di scatti prepagati del valore di 50 lire l’uno. Si inseriva sul telefono dall’alto e se non utilizzata completamente veniva restituita per future chiamate, se esaurita invece veniva “mangiata”.


Una “precursoria SIDA”

Una “precursoria SIDA”

I collezionisti chiamano questa “numero uno” precursoria SIDA. “Precursoria” perché si tratta di un prototipo sperimentale, “SIDA” dalla ditta che la produsse che era appunto la SIDA di Brescia. La prima cabina con telefono capace di leggere le schede fu installata dentro Villa Borghese a Roma nel 1976 e rimase l’unica per molto tempo. Le prime schede, infatti, presentavano dei difetti non trascurabili. Innanzitutto erano di carta e quindi molto fragili: si strappavano facilmente e guai a dimenticarle nella tasca dei pantaloni da lavare. Se piegate o stropicciate poi, la banda magnetica diventava inservibile. Inoltre si inceppavano spesso nel meccanismo: non sarebbero mai decollate per una produzione di massa. Proprio perché mai arrivate sul mercato nazionale le precursorie SIDA rientrano nel novero delle schede telefoniche rare.

Il boom delle schede telefoniche

L’idea rimase silente nel frattempo che si cercava di affinare la tecnologia, fino all’installazione in tutta Italia dei telefoni pubblici modello Rotor agli inizi degli anni ’90, i primi con il lettore di schede. In questo modo, complice una campagna pubblicitaria senza eguali nell’ambito, il Rotor e la scheda si legarono indissolubilmente nell’immaginario collettivo. Le prime schede telefoniche SIP commercializzate erano l’ottimizzazione di un percorso durato più di 10 anni. Realizzate in plastica leggera, indeformabili, flessibili, impermeabili, resistenti e soprattutto colorate, diventarono delle compagne inseparabili. Non c’era portafoglio che non ne contenesse almeno una “per le emergenze”.

I tagli disponibili erano da 5.000 lire (2,58 euro) e 10.000 lire (5,16 euro). Il fronte era istituzionale e uguale per tutte (a parte l’indicazione del valore) e riportava gli elementi di sicurezza: per evitare che venissero falsificate avevano un codice a barre, un identificativo (alfa)numerico e il logo SIP in filigrana. La novità era il retro (o “recto”, in termini collezionistici): poteva contenere della pubblicità. Inizialmente, per diffondere il verbo, erano comunicazioni SIP su servizi e prodotti interni. Per l’Alto Adige le schede erano bilingui, in italiano e tedesco.

Successivamente, si decise di vendere il recto a chiunque ne avesse fatto richiesta e per informare di questa possibilità nacque la prima “serie”, le famose trottole. Il claim era “se ti gira di…” e ad ogni azione (spaziare, stupire, spiccare, colpire, incuriosire, ecc) corrispondeva una grafica diversa. Con la serie trottole nasce il collezionismo delle schede telefoniche: la gente iniziò ad avere voglia di possederle tutte.


Una “trottola” da 5.000 lire

Un nuovo media e una nuova mania

La scheda telefonica diventò quindi un vero e proprio nuovo media, inteso come mezzo di comunicazione atto a veicolare informazioni di qualsiasi tipo. Chiunque poteva acquistare il recto delle schede che si facevano portatrici di pubblicità di ogni genere: commerciale, istituzionale (anche lo Stato e i suoi vari Enti collegati spesso ne usufruirono), eventi più o meno locali. A seconda del budget investito la tiratura poteva essere più o meno alta e questo influiva sul valore collezionistico. Prima delle chat su Internet, prima dei social network, prima dei raid di Pokemon Go, ci sono stati i capannelli di persone che si riunivano per scambiarsi le schede telefoniche, davanti alle cabine o ai mercatini. La mania era trasversale, non aveva un’età e un target di riferimento e non conosceva limiti di spesa.

Per venire ancora più incontro alle esigenze di questo nuovo business, SIP (nel frattempo diventata Telecom) effettuò un restyling totale delle schede. Introdusse nuovi tagli da 2.000 e da 15.000 lire, adottò dei colori per distinguere anche visivamente il valore (colori caldi come arancione e rosso per i tagli bassi, freddi come blu e viola per quelli alti) e permise alla pubblicità di sconfinare sulla parte alta del fronte. Nel frattempo, gli spot in TV e sulla carta stampata erano martellanti.

La serie pubblica figurata “Uova”. I tre tagli, accostati, formavano nel recto un’immagine unica in verticale. Altre serie, come l’ordinaria “Poker”, avevano la stessa particolarità sul fronte in orizzontale

Al di là di questa improvvisa popolarità che la travolse, la scheda si rivelò utile e funzionale anche nel pratico. Il suo uso fu talmente intenso da pensionare definitivamente il gettone e influenzare l’estetica dei telefoni pubblici. Come vi abbiamo già raccontato, infatti, il telefono Digito nacque per essere usato esclusivamente con le schede. Non solo in Italia: l’innovazione si diffuse in tutto il mondo riscuotendo ovunque lo stesso successo. Le schede telefoniche regnarono per circa un decennio ma poi vennero spazzate via dalla diffusione massiccia dei telefonini, seguendo il triste destino delle cabine. Il crollo delle vendite è stato così consistente che Telecom Italia ha smesso di emettere le schede telefoniche nel 2018.

Fin qui la storia di questo rettangolino di plastica che per tanti anni è stato compagno delle nostre vite. Il mondo del collezionismo che si è sviluppato parallelamente è però troppo vasto per poter essere spiegato in poche righe e merita una puntata a parte. Volete sapere se quella vecchia scheda dimenticata nel diario delle medie vale qualcosa?

Laura Primiceri
Giornalista pubblicista, social media manager, storyteller e content creator. Tra i grandi amori la scrittura, la comunicazione e i suoi media, la tv e la pubblicità. Esperta di cultura pop anni ‘90.