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Italia siamo indietro. Baldoni: mancano 100.000 esperti di sicurezza informatica.

Italia siamo indietro. Baldoni: mancano 100.000 esperti di sicurezza informatica.

Redazione RHC : 14 Dicembre 2021 19:24

Roberto Baldoni, capo della neonata Agenzia per la cybersicurezza nazionale, ha riportato recentemente una frase che fa comprendere quanto l’Italia sia indietro sui temi di sicurezza informatica e soprattutto quanto siano necessarie delle riforme strutturali.

“Impossibile dire quante persone competenti in materia di cybersecurity servono in Italia, l’unica cosa che so con certezza è che ce ne vorrebbero tantissime”.

Non è una novità che tutti i paesi oggi abbiano bisogno di talenti che permettano di mettere in sicurezza le reti sia nei settori pubblici che nei settori privati.

Infatti, anche l’America, storicamente più avanti rispetto ad altri stati ha riportato a giugno, dopo l’escalation di attacchi ransomware che per poter rispondere in maniera efficace all’impennata degli attacchi gli occorrono 450.000 persone specializzate in cybersecurity.

“Per farci un’idea di quante persone servono, si potrebbe considerare che ogni piccola e media impresa, oltre alle pubbliche amministrazioni, dovrebbe avere almeno un esperto di sicurezza”

ha riportato Baldoni

“Quindi, se ne contiamo uno per ogni pmi nazionale, il numero inizia a essere esorbitante. Aggiungendo quelli per le Pa, a spanne si potrebbe arrivare a centomila persone. Perché in fondo si sta ripetendo quello che abbiamo già visto anni fa, quando ogni azienda aveva bisogno dell’esperto informatico. Ecco, oggi serve l’esperto in sicurezza. Infatti è diventato un mercato molto attivo: alcuni ragazzi vanno a lavorare all’estero appena laureati, mentre quelli che restano in Italia passano da un lavoro all’altro finché alla fine non si ritrovano in un altro Paese anche loro” – ed inoltre aggiunge – “Bisogna prendere una laurea di tipo Stem, quindi è importante studiare Scienze, Matematica, Fisica, Informatica, Ingegneria. Poi si possono specializzare, ormai esistono lauree magistrali in numerose università. A Milano c’è la laurea triennale e poi la magistrale in Sicurezza informatica, e anche La sapienza a propone una magistrale in Cybersecurity, mentre tante altre stanno nascendo”

E’ un problema serio oltre al fatto che i percorsi STEM aiutano a formare persone che generalmente escono dalle università o dai master in cybersecurity per poter lavorare in un ambito di high level security,ma poco personale tecnico specialistico.

Esistono giustamente il cyberchallengeIT e Olicyber, (dove ricordiamo che per il CyberChallengeIT sono ancora aperte le iscrizioni per 800 studenti universitari che faranno richiesta entro il 14 gennaio 2022), mentre le iscrizioni per OliCyber,sono terminate lo scorso 9 dicembre 2021.

Ma occorrerebbe porci questa domanda: quanti ragazzi ci perdiamo con questo modello di istruzione, interessati alla cybersecurity, solo perchè non gli abbiamo mostrato che esiste questo sbocco lavorativo?

A nostro avviso tantissimi, ed inoltre sono molto poche le persone che poi uscite da una magistrale o da un master iniziano a cimentarsi in un percorso tecnico specialistico come l’etchical hacking, materia che nasce dalla curiosità, proprio intorno ai 12/15 anni.

Infatti abbiamo tanto bisogno di tecnici, che potranno difendere il paese e verificare che le infrastrutture siano resilienti agli attacchi informatici. Ma se il cyberchallenge ne forma 800 all’anno, quando riusciremo a colmare il gap?

probabilmente occorre iniziare pensare a modi diversi per attrarre nuovi talenti partendo dalle scuole superiori, ad esempio dal triennio e quindi far capire ai ragazzi che esiste questa specializzazione, come sta facendo l’istituto Copernico di Ferrara con risultati eccezionali (che vi consigliamo di leggere), e come ci ha raccontato Alessandro Vannini in una intervista di qualche giorno fa.

Noi crediamo che siamo nella direzione giusta, solo che visto che abbiamo una necessità di molti tecnici, dobbiamo per forza di cose iniziare prima a gettare il seme, altrimenti il rischio di non far germogliare l’interesse per la cybersecurity è molto alto, non consentendoci di arrivare ai numeri necessari per rendere resiliente il paese agli attacchi informatici.

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