
Michele Pinassi : 27 Febbraio 2024 07:16
“Non esistono pranzi gratis” è un detto sempre valido, anche quando parliamo di antivirus. In questo caso, la Federal Trade Commission americana ha proibito ad Avast di vendere i dati degli utenti raccolti dal suo prodotto antivirus (particolarmente apprezzato per la sua gratuita) tra il 2014 e il 2020, multandola inoltre per 16,5 milioni di dollari.
A quanto risulta dal comunicato ufficiale della FTC, tra i dati raccolti negli anni tra il 2014 e il 2020 ci sono informazioni sulle abitudini di navigazione degli utenti, compresi siti web visitati (inclusi quelli per adulti), geolocalizzazione, “type of device and browser, and the city, state, and country”.
FTC order will ban Avast from selling browsing data for advertising purposes, require it to pay $16.5 million over charges the firm sold browsing data after claiming its products would block online tracking: https://t.co/jGNur9Ezfx #privacy /1
— FTC (@FTC) February 22, 2024
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“Since at least 2014, the FTC says Avast has been collecting consumers’ browsing information through browser extensions, which can modify or extend the functionality of consumers’ web browsers, and through antivirus software installed on consumers’ computers and mobile devices. This browsing data included information about users’ web searches and the webpages they visited—revealing consumers’ religious beliefs, health concerns, political leanings, location, financial status, visits to child-directed content and other sensitive information.FTC Order Will Ban Avast from Selling Browsing Data for Advertising Purposes, Require It to Pay $16.5 Million Over Charges the Firm Sold Browsing Data After Claiming Its Products Would Block Online Tracking”
In realtà, almeno dal 2019 si sapeva del problema, come testimonia l’articolo di Forbes “Are You One Of Avast’s 400 Million Users? This Is Why It Collects And Sells Your Web Habits“.
A quanto si apprende dalle fonti disponibili on-line, Avast, attraverso la sua controllata Jumpshot, aveva pubblicizzato la vendita di “Incredibly detailed clickstream data from 100 million global online shoppers and 20 million global app users. Analyze it however you want: track what users searched for, how they interacted with a particular brand or product, and what they bought. Look into any category, country, or domain“. Il tutto non era passato affatto inosservato tanto che la CUIC –Consumer United In Court– aveva attivato una campagna per lanciare una sorta di class action contro Avast con tanto di richieste di risarcimento.
Con i loro tempi, anche le Agenzie governative stanno intervenendo su quanto accaduto.
A differenza di molti altri software, l’antivirus è uno strumento digitale particolare e privilegiato. Dovremmo fare molta attenzione all’antivirus che scegliamo di installare sui nostri dispositivi, perché esso richiederà privilegi di amministrazione per poter scrutare all’interno di ogni file sul nostro PC, ogni byte di memoria e ogni pacchetto dati che riceviamo/trasmettiamo sulla Rete.
Non è un caso se, quando esplose il conflitto Russo-Ucraino, tra i prodotti software “bannati” comparve Kaspersky, produttrice dell’omonimo antivirus e soluzioni di sicurezza, visto come un prodotto potenzialmente pericoloso perché l’azienda produttrice è sovietica e parliamo, appunto, di software che “gira” con privilegi elevati all’interno di milioni di sistemi informatici.
È sempre bene ricordare che qualunque software richieda i privilegi di amministrazione ha la possibilità di accedere in modo illimitato a tutto ciò che è sul nostro sistema: concedere tali privilegi è sempre un bel rischio, da ponderare attentamente.
Consiglio sempre di evitare, per quanto possibile, l’uso di software di sicurezza (firewall, VPN, antivirus…) commerciali e gratuiti. Meglio puntare, dove possibile, verso soluzioni FOSS per le quali la comunità abbia modo di scaricare e studiare il codice sorgente.
Michele Pinassi
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