
Benvenuti al primo appuntamento con la nostra rubrica, un percorso di tre settimane per esplorare la straordinaria danza tra coevoluzione, cybersecurity e le discipline umanistiche, con un focus sul coaching. Ogni settimana, affronteremo un aspetto diverso di questo tema, partendo oggi dal cuore del problema: la mente umana.
La coevoluzione è un concetto affascinante, un ballo cosmico in cui due specie, o sistemi, si influenzano reciprocamente, adattandosi e crescendo insieme. Darwin la osservava nei fringuelli delle Galápagos, il cui becco mutava in base ai semi disponibili.
Oggi, possiamo vederla nel mondo digitale, dove la cybersecurity e la psicologia non sono più discipline separate, ma due facce della stessa medaglia in una danza incessante. La mente umana, con le sue vulnerabilità e le sue forze, è il vero campo di battaglia. La sicurezza non è solo una questione di codici e algoritmi, ma una complessa interazione tra tecnologia e comportamento.
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L’hacker, come un parassita evoluto, non si limita a forzare serrature digitali. Studia le abitudini, le paure e i desideri delle sue vittime. Crea trappole di ingegneria sociale, come il phishing, che sono il perfetto esempio di coevoluzione parassitaria. Il malware si evolve, ma anche la nostra consapevolezza.
Un esempio lampante è il cosiddetto “Cavallo di Troia” moderno, una metafora che affonda le radici nella mitologia greca. I Greci non vinsero assediando le mura di Troia, ma ingannando il nemico con un dono apparentemente innocuo, che nascondeva un pericolo mortale. Lo stesso accade oggi con le email di phishing. Un’offerta irresistibile, un messaggio urgente da una banca, un allegato che promette un’anteprima succulenta: sono tutti cavalli di Troia progettati per bypassare le nostre difese razionali, agendo direttamente sulle nostre vulnerabilità psicologiche.
La coevoluzione tra hacker e difensore diventa una partita a scacchi. Il difensore non può limitarsi a rafforzare il firewall, ma deve anche educare gli utenti a riconoscere il pericolo. Il cyber-attacco non è più un atto puramente tecnico, ma un atto psicologico. L’hacker sfrutta i nostri bias cognitivi, come il bias di conferma (crediamo a ciò che conferma le nostre convinzioni) o l’euristica dell’affettività (siamo più propensi a fidarci di ciò che ci evoca emozioni positive).
Il difensore, per contrastarlo, deve coevolvere, diventando un “psicologo della sicurezza”.
Per comprendere questo fenomeno, dobbiamo attingere alla psicologia. Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia e padre della psicologia comportamentale, nel suo libro Pensieri lenti e veloci, spiega come il nostro cervello operi attraverso due sistemi: il Sistema 1, rapido e intuitivo, e il Sistema 2, lento e razionale.
Gli attacchi di ingegneria sociale sono progettati per bypassare il Sistema 2 e attivare il Sistema 1, spingendoci a cliccare su link pericolosi in un momento di fretta o distrazione. L’hacker non attacca la nostra tecnologia, ma il nostro cervello. Un altro concetto fondamentale è quello di “schemi mentali” sviluppato dal psicologo cognitivo Jean Piaget.
Gli schemi sono le strutture che usiamo per interpretare il mondo. Quando un’email di phishing simula perfettamente il logo della nostra banca, attiva lo schema mentale di “comunicazione bancaria fidata”, inducendoci a ignorare i segnali d’allarme.
La coevoluzione, in questo senso, è una battaglia per la costruzione e la decostruzione di questi schemi.
Come possiamo, quindi, difenderci? Oltre alla tecnologia, la risposta risiede nello sviluppo di un mindset resiliente. È qui che il coaching entra in gioco, non come un’arma, ma come una guida. Non si tratta di imparare a forzare serrature digitali, ma di imparare a rafforzare la propria mente.
Il coach aiuta l’individuo a diventare consapevole dei propri punti deboli psicologici, a riconoscere gli schemi di pensiero che lo rendono vulnerabile e a sviluppare nuove abitudini digitali. Possiamo vedere il coach come il “mentore” che non ci fornisce la spada per combattere il drago, ma ci insegna a riconoscere le sue trappole e a gestire la nostra paura.
Il coaching promuove una mentalità di apprendimento continuo, cruciale in un ambiente digitale che muta senza sosta.
Invece di sentirsi vittime passive, il coaching ci rende protagonisti attivi della nostra sicurezza, pronti a migliorare dopo ogni attacco, reale o simulato.
In questo primo passo, abbiamo visto come la cybersecurity non sia solo una questione di codici e firewall, ma una profonda battaglia psicologica. La coevoluzione tra hacker e difensore è una danza in cui la comprensione della mente umana è l’arma più potente. Il cyber-attacco non è un atto meccanico, ma un atto psicologico.
Nelle prossime settimane, esploreremo come il coaching possa aiutarci a costruire la nostra resilienza mentale e come la filosofia ci possa dare una bussola morale per navigare le sfide etiche che la coevoluzione digitale ci pone. Vi aspetto per continuare questo affascinante viaggio insieme.
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