Sandro Sana : 3 Giugno 2025 07:16
Il piano di OpenAI per rendere l’intelligenza artificiale onnipresente (e inevitabile).
Immagina di svegliarti una mattina e, ancora prima di aprire gli occhi, una voce gentile ti ricorda che oggi hai una riunione alle 10, ti consiglia di vestirti a strati perché fuori è prevista pioggia leggera e ti propone di fare colazione con yogurt greco e noci, perché “ieri hai mangiato troppi zuccheri”.
Poi, mentre ti lavi i denti, questa stessa presenza ti informa che il tragitto verso l’ufficio sarà più veloce se prendi il secondo svincolo, che la tua compagna ha messo un like a una foto di voi due di tre anni fa (forse vuole dirti qualcosa), e che sarebbe il momento ideale per comprare quei biglietti aerei che hai cercato dieci giorni fa.
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No, non è fantascienza. È il futuro secondo OpenAI. E potrebbe arrivare molto prima di quanto immagini.
Nel bel mezzo del processo antitrust tra il Dipartimento di Giustizia USA e Google, è saltato fuori un documento interno di OpenAI dal titolo “ChatGPT: H1 2025 Strategy”. Un documento che non era destinato al pubblico e che, proprio per questo, dice molte più verità di mille interviste patinate.
Il messaggio è semplice, ma potentissimo: ChatGPT non vuole più essere solo un assistente. Vuole diventare il tuo compagno di vita.
No, non in senso romantico — anche se l’IA emozionale non è poi così lontana. Stiamo parlando di qualcosa di più subdolo e, paradossalmente, più intimo: un’entità che ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso, che ti accompagna ovunque, che ti aiuta a scegliere, decidere, comunicare, vivere.
Un’entità sempre presente, sempre vigile. Invisibile ma onnisciente.
Più che un assistente: un doppio digitale.
Nel documento, OpenAI descrive con entusiasmo il suo piano per fare di ChatGPT un “super-helper”, un agente intelligente che ti aiuta — e via via ti sostituisce — in una miriade di compiti: scrivere email, organizzare il calendario, scegliere il percorso migliore per andare al lavoro, consigliare come gestire le relazioni personali, fino ad arrivare a suggerire come passare il tempo libero o cosa cucinare per cena.
Letto così, suona anche bene. Chi non vorrebbe una mano in più durante la giornata? Il problema, però, è che questa “mano” è anche un occhio. E un orecchio. E un algoritmo.
Che registra. Impara. Analizza. E soprattutto… decide.
Non è più una tecnologia che risponde a un comando. È un agente che prende iniziative. E ogni iniziativa è un’influenza. Un consiglio che sembra neutro, ma che parte da una base di dati, bias e obiettivi che tu non controlli.
OpenAI, in modo lucido (e anche un po’ inquietante), riconosce nel documento che per realizzare questa visione servirà raccogliere molti più dati personali. Ma va tutto bene — dicono — perché si tratta di aiutarti.
Certo, per aiutarti meglio bisogna sapere cosa pensi, cosa ti piace, cosa sogni, cosa temi. E per sapere tutto questo, bisogna osservarti sempre. Analizzare sempre. Prevedere sempre.
Siamo davanti a un salto concettuale. La tecnologia non è più un’estensione delle tue capacità. È la tua nuova pelle.
E quando il tuo alter ego digitale sa tutto di te — i tuoi gusti, le tue paure, le tue debolezze — la linea tra assistenza e controllo diventa molto, molto sottile.
Nel frattempo, mentre ci incantiamo con le promesse del futuro, OpenAI si prepara al grande salto. Sta investendo miliardi in nuovi data center (come il progetto Stargate), collaborando con designer come Jony Ive (ex Apple) per costruire un dispositivo fisico dedicato all’accesso costante all’IA. Non sarà più il tuo telefono a parlare con ChatGPT. Sarà ChatGPT stesso ad essere il dispositivo.
Un oggetto pensato per stare con te sempre. Che ti ascolta, ti consiglia, ti accompagna. E che magari un giorno — senza che tu te ne accorga — decide anche per te.
Il prezzo della delega totale
A qualcuno tutto questo sembrerà straordinario. Per molti altri sarà semplicemente comodo. Ma è proprio la comodità il cavallo di Troia perfetto per convincerci a cedere ciò che abbiamo di più prezioso: la libertà di scelta.
Perché se ogni giorno deleghiamo sempre di più — al navigatore per i tragitti, all’assistente per le email, al bot per le ricette, all’IA per le decisioni — a un certo punto smettiamo di vivere la nostra vita.
E iniziamo a consumarla, come un servizio in abbonamento. Con la differenza che non siamo noi a usarlo. È lui a usare noi.
Siamo ancora in tempo. Ma la vera domanda da porci non è “quanto sarà potente ChatGPT nel 2025?”.
La domanda vera è:
Siamo sicuri di volerlo dentro ogni angolo della nostra esistenza?
Perché l’intelligenza artificiale non dorme. Non dimentica. Non giudica.
Ma registra. Sempre. E se le diamo il permesso di vivere con noi, giorno e notte, forse un giorno ci sveglieremo e ci accorgeremo che non siamo più noi a vivere.
Ma una versione digitale — più efficiente, più razionale, più controllabile — di quello che eravamo.
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