Daniela Farina : 8 Maggio 2023 07:08
Negli ultimi anni la transizione digitale e i processi di innovazione tecnologica e informatica hanno avuto un forte impatto sul mercato del lavoro.
Le competenze legate a questi ambiti sono infatti diventate tra le più richieste e remunerate, dando di conseguenza un grande slancio anche ai percorsi di studio di tali discipline. Tuttavia, gli allarmi continui sulla carenza di competenze e sul disallineamento fra domanda e offerta non stanno portando significative inversioni nel colmare questa lacuna.
Osservando i dati da una prospettiva di genere, quello che emerge è la grave carenza di donne occupate in questi settori. Non solo rispetto agli uomini, ma anche rispetto alla media delle donne europee.
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Il giorno Venerdì 9 maggio 2025 presso il teatro Italia di Roma (a due passi dalla stazione termini e dalla metro B di Piazza Bologna), si terrà
la RHC Conference 2025. Si tratta dell’appuntamento annuale gratuito, creato dalla community di RHC, per far accrescere l’interesse verso le tecnologie digitali, l’innovazione digitale e la consapevolezza del rischio informatico.
La giornata inizierà alle 9:30 (con accoglienza dalle 9:00) e sarà interamente dedicata alla RHC Conference, un evento di spicco nel campo della sicurezza informatica. Il programma prevede un panel con ospiti istituzionali che si terrà all’inizio della conferenza. Successivamente, numerosi interventi di esperti nazionali nel campo della sicurezza informatica si susseguiranno sul palco fino alle ore 19:00 circa, quando termineranno le sessioni. Prima del termine della conferenza, ci sarà la premiazione dei vincitori della Capture The Flag prevista per le ore 18:00.
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Per capire da dove hanno origine queste tendenze, è necessario guardare a quei pregiudizi sociali e culturali che agiscono sulle scelte delle donne.
Da un lato abbiamo la costruzione di un discorso sociale in cui certe professioni “non sarebbero fatte” per le donne e dall’altro troviamo un mercato occupazionale che non riesce ad attirarle.
ll tessuto sociale, le famiglie e lo stesso mondo dell’istruzione, a partire dai primissimi anni della scuola dell’infanzia, contribuiscono spesso in modo importante a determinare convinzioni e pensieri limitanti.
Se pochissime donne, ancora oggi, scelgono di iscriversi alle facoltà tecnico- scientifiche per poi entrare nel mondo ICT è, dunque, prima di tutto a causa di ciò che viene detto loro dalla famiglia, dalla scuola, dalle aziende e dalla società.
Già in tenerissima età, le bambine ricevono messaggi molto chiari che le spingono verso precise discipline e interessi, ritenuti più indicati e idonei alla loro “personalità” e “natura”. Lo si vede già con la scelta dei giochi, delle attività da fare e degli sport cui sono indirizzate.
Per quanto riguarda gli aspetti sociali e familiari, primo fra tutti c’è il pregiudizio e stereotipo per cui le donne e le materie scientifiche non siano compatibili.
Questa percezione sociale crea una sorta di barriera psicologica per le donne, che sono portate a sentirsi inferiori ai maschi in questi ambiti. Sensazione a cui, talvolta, contribuiscono persino gli stereotipi di genere degli insegnanti.
La mancanza di modelli nell’immaginario collettivo gioca anche la sua parte. In generale, sembra che questi cofattori sociali siano, comunque, più determinanti di quelli individuali.
Oltre, ai messaggi impliciti ed espliciti della società, cui le donne sono sottoposte a partire dall’infanzia, l’allontanamento è dovuto in parte anche a una mancanza di fiducia e autostima, risultato, appunto, di quel processo ideologico e culturale che vivono ed assimilano, inconsapevolmente.
Tale fenomeno è stato spiegato così dallo psicologo Adrian Furnham con le seguenti parole : “l’arroganza maschile è il vero problema dell’umiltà femminile”. Una bassa autostima condiziona la carriera e il futuro professionale.
Gli psicologi dell’educazione sottolineano come l’immagine di sé intellettuale influisca sulle proprie scelte di vita, sul proprio futuro e sulla propria felicità. Quando le ragazze sottovalutano la loro intelligenza a scuola, tendono a scegliere corsi meno impegnativi, quindi non materie come scienze, tecnologia, ingegneria e matematica (materie STEM). E queste decisioni limitano le loro scelte di istruzione e di carriera future.
Ad aver sottolineato di recente questo fenomeno anche è Mario Draghi: “Nel nostro Paese sono troppe poche le donne che scelgono materie STEM. Solo il 16,5% delle ragazze è specializzato nelle discipline scientifiche, contro il 37% dei laureati maschi”.
Altro pregiudizio consiste nel ritenere che l’irrazionalità e l’emotività sono emozioni femminili e in netto contrasto con la razionalità e il pensiero analitico.
Vecchi miti raccontano che le femmine sono tendenzialmente soggette ad attacchi di tristezza, rabbia, disperazione, senza vere ragioni.
Incapaci di gestire impeti emotivi, inclini a sperimentare una gamma più grande, intensa e frequente di sensazioni (a parte la rabbia, riservata prevalentemente ai maschi).
È stato dimostrato che i bambini in età prescolare già possiedono queste convinzioni stereotipate. Differenze emotive che non si registrano effettivamente nei piccoli, sensibili allo stesso modo.
Anche l’idea che i soggetti di sesso femminile piangano di più è falsa. Neonati e bambini in realtà lo fanno con la stessa frequenza. Le donne non sono più emotive degli uomini. Piuttosto è stata dimostrata la differenza nel modo in cui i due generi rispondono emotivamente alle situazioni.
Un recente studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università del Maryland a Baltimora, ha sfatato il mito che le donne sappiano gestire meno quello che sentono rispetto all’altro sesso.
In ultimo ma non ultimo, le donne sono svantaggiate anche sul luogo del lavoro. OItre a salari mediamente più bassi, a parità di livello di istruzione, prevale ancora l’idea che la popolazione femminile debba occuparsi dei lavori di casa e del mantenimento dei figli. Questa situazione riduce il loro potere contrattuale sul mercato del lavoro, anche per promozioni interne ed esterne.
Nelle carriere STEM, la maternità porta a interruzioni lavorative che spesso ostacolano un’ascesa della carriera paragonabile a quella degli uomini. Le donne avrebbero bisogno, rispetto agli uomini, di una migliore work life balance.
Che la discriminazione sia consapevole o inconsapevole (ad esempio tramite bias cognitivi sul genere), il risultato è che le donne vengono spesso penalizzate.
In sintesi, è un misto di barriere sociali, psicologiche ed economiche a tenere lontane le donne dalla cybersecurity.
Il cambiamento per le ragazze richiede un cambio di paradigma, un impegno per programmi e iniziative sostenibili, a lungo termine, che riconoscano le barriere strutturali e lavorino per rimuoverle.
Occorre abbracciare la riforma dell’istruzione, con nuovi programmi di studio che promuovano la curiosità delle bambine, fin dalla più tenera età, includendo le materie scientifiche e tecnologiche durante la scuola primaria.
Le giovani donne devono trovare spazio e accoglienza all’interno di un sistema incrostato da secoli di pregiudizi e stereotipi.
Per fare questo sono diversi i programmi che in Italia si stanno attivando per dare nuove possibilità.
In particolare, l’obiettivo è la riqualificazione professionale di donne specializzate nelle discipline umanistiche (psicologia, relazioni internazionali, giurisprudenza, scienze politiche), che possono trovare nel mondo digitale di oggi un’opportunità di competenza integrativa.
Programmi di mentorship, attività sui media, conversazioni con role model, formazione e ricerca sono volti a portare consapevolezza adeguata alle sfide attuali.
Un approccio inclusivo può favorire non solo il superamento di pregiudizi e stereotipi, ma addirittura promuovere la crescita economica attraverso una maggiore produttività e una maggiore attività del mercato del lavoro.
Le guerre digitali sono una realtà sempre più presente e le minacce cyber sono in continua evoluzione, quindi l’importanza di avere una buona sicurezza informatica (e validi esperti ed esperte a sua difesa) è cruciale per proteggere le infrastrutture critiche e la società. La perdita o il furto di dati può causare danni economici e mettere a rischio la sicurezza nazionale.
Per poter affrontare queste guerre digitali si richiede più formazione e qualificazione delle risorse umane. Sicuramente diverse grandi società ci stanno credendo e si stanno muovendo nella direzione della chiusura del divario di genere. Il futuro quindi è “in rosa”.
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