F-Norm Society : 24 Maggio 2025 08:29
Oggi si parla tanto di sovranità tecnologica.
L’Europa stessa che si è ingolfata a forza di regole e burocrazie e che di conseguenza viene derisa da mezzo mondo per volersi arrampicare sul tavolo dei grandi appoggiandosi sull’equivalente di elenchi telefonici pieni di direttive e regolamenti che cercano di parlare di tecnologia.
Ovviamente cercano, perché oltre al telefax chi ha scritto quella roba non c’è mai andato e al massimo s’è visto un tutorial o s’è letto un 4dummies.
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Quando ti vogliono vendere la sovranità tecnologica europea, o peggio nazionale, ti stanno cercando di vendere la carta delle caramelle. Non la caramella.
Quella se la sono ciucciata tutta insieme ai tavoli di esperti e consulenti vari, quindi al massimo ti trovi un po’ di sapore sulla carta sbavata se ti dice bene. Se pensi che ci possa essere indipendenza o sovranità solo perché vedi scritto su un disclaimer o un’etichette “made in EU” allora sei parte del problema.
Non ti preoccupare, però, perché sei la risorsa che tutti desiderano: l’utonto che compra e non si fa nessuna domanda.
Certo che esiste un software sovrano!
Finché non lo compili sul tuo portatile staccato da internet e lo tieni chiuso in una chiavetta sotto vuoto nel congelatore. Poi però succede che vuoi farci qualcosa — tipo farlo girare — e lì cominciano le risate.
Perché quel software, per quanto bello e “Made in EU” lo vogliano spacciare, si appoggia a una galassia di librerie, dipendenze, pacchetti, moduli e incantesimi vari, di cui almeno l’80% proviene da ovunque tranne che dall’Europa. E spesso da gente che magari oggi lavora per il bene comune, e domani ci infila una backdoor dentro.
Sì, parliamo proprio di quella supply chain del software, quel castello di carte globalizzato dove se un maintainer in Nebraska ha mal di pancia, il tuo gestionale in Friuli smette di fare le fatture.
E la Sovranità? Forse del sogno.
Perché quando il tuo codice europeo dipende da uno JavaScript coreano che usa un parser russo che fa una chiamata API verso una CDN cinese, chi controlla davvero cosa gira dove?
Ma dai, non è difficile da capire: te la stanno vendendo di nuovo, quella carta delle caramelle. Solo che stavolta c’è stampato sopra “Open Source” e “autonomia”, così suona più etico mentre ti ci asciughi le lacrime post-breach. Siamo oltre la paper compliance e la pdf compliance.
Oramai si fa compliance a botte di Canva e pptx.
Ah, l’hardware sovrano! Quel miraggio dove l’Europa si immagina a produrre CPU da battaglia in stabilimenti puliti come le coscienze dei politici. Peccato che la realtà sia più sporca: non abbiamo né le fab (quelle vere, non le slide), né le fonderie avanzate, né tantomeno la filiera per trattare le materie prime necessarie a tirar fuori un chip moderno. Sai, quei cosini minuscoli da 3 nanometri che fanno girare il mondo? Quelli li fanno negli USA e a Taiwan.
In pratica, qui da noi mancano proprio le fondamenta: dalla raffinazione dei materiali al packaging del prodotto finito. Una CPU non si stampa con la buona volontà e un finanziamento Horizon. E mentre sogniamo di “recuperare sovranità”, ci ritroviamo a comprare chip progettati in California, prodotti a Hsinchu, impacchettati in Malesia e spediti su server connessi via infrastrutture gestite da multinazionali che mangiano normative europee a colazione. Ma vai tranquillo, abbiamo il GDPR — almeno i tuoi dati saranno ben protetti mentre il tuo hardware si spegne da solo perché un driver firmato a Shenzhen ha deciso così.
E qui arriva il colpo di teatro: il greenwashing. Perché se proprio non puoi fare la rivoluzione, almeno piantaci sopra due alberi o falli piantare a qualcuno, sia mai che ti sporchi le mani tu, e chiamala “sostenibile”. L’Europa ha un debole per queste scenette: il chip sovrano magari non esiste, ma il documento PDF che ne certifica l’eco-compatibilità sì.
Che importa se la sabbia di silicio l’hai dovuta estrarre in Africa, raffinare in Cina e lavorare in un impianto alimentato a carbone — l’importante è che l’etichetta sia climate neutral e stampata con inchiostro di soia.
Tanto alla fine, l’unica cosa veramente a impatto zero è la nostra influenza nel settore. Quella sì che non lascia tracce.
Vogliamo parlare anche dei diritti dei lavoratori impiegati nell’estrazione delle materie prime? Meglio di no, dai. Ignoriamolo, quel punto. Ah, quant’è bella l’etica fatta a botte di cherry picking!
Quando non hai le carte in mano e ti sei seduto al tavolo di gioco non è che ti puoi lamentare se non vinci. Soprattutto se scegli di continuare pensando che le tue carte valgono tantissimo perché le hai in mano tu. Prima o poi arriva un punto in cui concepisci che i semi sono quelli e il numerino in alto a destra non è che puoi “interpretarlo” ecco che ti arriva la doccia di realtà.
Che ha fatto l’UE a parte cercare di far regole su una tecnologia che non controlla e né può controllare sperando che qualcuno scopra il bluff. Grande strategia, non c’è che dire. Tutta basata sul gimmick.
Peccato che non fa i conti con la realtà. Sì, proprio quella roba brutta che prima o poi qualcuno penserà di mettere fuori legge perché troppo antieuropeista.
L’EU non ha ben chiaro quali sono le capacità all’interno del suo territorio.
Persino ora dove la nostra “sovranità tecnologica” è pari a zero, non siamo stati in grado di investire e creare qualcosa di “nostro”. Muoverci verso questo assurdo obiettivo vuol dire ripartire (se va bene) dagli anni ‘90 rimanendo indietro rispetto agli altri paesi dove R&D e’ il fulcro della loro economia. In Europa abbiamo una concezione strana dello sviluppo tecnologico, invece di muoverci verso l’innovazione vogliamo ripartire da capo creando router, software e cloud “made-in-EU” mentre gli altri player globali sviluppano nuove tecnologie per la sicurezza informatica e in ambito AI.
Sarà inutile (oltre che uno spreco) costruire nuove architetture senza la conoscenza su cosa crearci sopra. Un piano certamente ambizioso ma in ritardo rispetto al resto del mondo e soprattutto senza una idea chiara di dove e come muoversi.
La giusta sovranità tecnologica deve essere una abilità che deve essere coltivata in un territorio fertile. L’EU invece di fertilizzare il suo territorio decide di forzare la crescita delle radici in un terreno poco fertile e di difficile movimento grazie alle eccessive legislazioni e regolamenti.
Forzare la sovranità tecnologica rischia di favorire soluzioni solo perché sviluppate dai ‘buoni’, trascurando tecnologie potenzialmente superiori. Questo approccio può portare ad auto-limitazioni nella produzione e nei servizi disponibili, sollevando dubbi etici sulla libertà di scelta: è davvero giusto decidere per gli altri cosa possono o non possono usare?
Se l’obiettivo è davvero una sovranità efficace, allora è necessario snellire l’intero apparato normativo e puntare sulla varietà come vero punto di forza.
F-Norm Society… preparati alla prossima doccia fredda di sana realtà.
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