Ufficio del DPO ed esigenze di “contaminazione reciproca”
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Ufficio del DPO ed esigenze di “contaminazione reciproca”

Ufficio del DPO ed esigenze di “contaminazione reciproca”

20 Agosto 2022 08:00

Autore: Stefano Gazzella

La condizione necessaria ma non sufficiente per svolgere in modo adeguato un incarico di DPO è la conoscenza specialistica della norma in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento al settore di attività dell’organizzazione presso cui si è stati designati.

Necessaria in quanto prevista espressamente dalla norma (art. 37.5 GDPR) ma non sufficiente in quanto esiste una componente dinamica e prevede che nello svolgimento dei compiti si debba fare riferimento ai “rischi inerenti al trattamento, tenuto conto della natura, dell’ambito di applicazione, del contesto e delle finalità del medesimo” (art. 39.2 GDPR).

Pertanto, occorre che per tenere in debita considerazione tali fattori, tutte le conoscenze e competenze si devono adattare al contesto operativo e declinare adeguatamente nell’assetto di cui si è dotata l’organizzazione.

Ciò comporta dunque che l’ufficio del DPO svolge una funzione non di carattere statico, che deve essere presente ed inserita nell’organizzazione, coinvolta adeguatamente in tutte le questioni riguardanti la protezione dei dati personali (art. 38.1 GDPR) e deve poter ricevere il necessario supporto (art. 38.2 GDPR) a livello tecnico e organizzativo perché i compiti siano svolti in modo indipendente (art. 38.3 GDPR) e in assenza di conflitti d’interesse (art. 38.6 GDPR).

Ma è proprio all’interno delle dinamiche applicative che il DPO e il suo ufficio si debba andare ad interfacciare con altri referenti di funzione, che nei sistemi di gestione privacy vengono comunemente designati ai sensi dell’art. 2-quaterdecies Cod. Privacy per svolgere compiti specifici all’interno di determinate aree quali ad esempio il marketing, le risorse umane o l’IT.

Ed è proprio in questa cooperazione che possono realizzarsi occasioni di reciproca “contaminazione” virtuose. In questo modo le esperienze, competenze e soft skill possono evolversi e migliorare la capacità di intervento della funzione del DPO e, soprattutto, aumentare la capacità di diffusione della consapevolezza e cultura di data protection nei vari livelli dell’organigramma. Non solo: in questo modo è possibile andare a comporre (o adattare) in modo efficace i flussi informativi necessari per l’azione di monitoraggio e reporting, garantendo così un’effettiva continuità di sorveglianza.

La contaminazione è reciproca dal momento che il DPO non si limiterà ad un ruolo attivo per facilitare la comprensione degli obblighi normativi e la sensibilizzazione e formazione del personale sulle politiche in materia di compliance e sicurezza, ma sarà anche recettivo per quanto riguarda la comprensione delle dinamiche interne e le prassi di settore (richiamate dall’art. 37.5 GDPR).

I limiti da attenzionare in tale ambito sono innanzitutto lo svolgimento efficace dei compiti senza incorrere in situazioni di conflitto d’interessi e l’obiettivo di conseguire un miglioramento della comunicazione interna dell’organizzazione sia nei confronti dei vertici che – più diffusamente – degli operatori.

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Stefano Gazzella

Privacy Officer e Data Protection Officer, è Of Counsel per Area Legale. Si occupa di protezione dei dati personali e, per la gestione della sicurezza delle informazioni nelle organizzazioni, pone attenzione alle tematiche relative all’ingegneria sociale. Responsabile del comitato scientifico di Assoinfluencer, coordina le attività di ricerca, pubblicazione e divulgazione. Giornalista pubblicista, scrive su temi collegati a diritti di quarta generazione, nuove tecnologie e sicurezza delle informazioni.

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