
Redazione RHC : 22 Novembre 2021 09:04
Autore: Michele Pinassi
Data Pubblicazione: 22/11/2021
Un nuovo portale web chiamato Shindler’s list 2.0, contenente un pratico sistema di ricerca e visualizzazione dei QRCode relativi all’archivio dei 1000 green pass italiani che sta circolando da oltre 10 giorni, è stato pubblicato in rete. E spunta anche un “kit” per chi volesse cimentarsi nel cracking dei certificati DGC…
Christmas Sale -40% 𝗖𝗵𝗿𝗶𝘀𝘁𝗺𝗮𝘀 𝗦𝗮𝗹𝗲! Sconto del 𝟰𝟬% 𝘀𝘂𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘇𝘇𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗽𝗲𝗿𝘁𝗶𝗻𝗮 del Corso "Dark Web & Cyber Threat Intelligence" in modalità E-Learning sulla nostra Academy!🚀
Fino al 𝟯𝟭 𝗱𝗶 𝗗𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲, prezzi pazzi alla Red Hot Cyber Academy. 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗰𝗼𝗿𝘀𝗶 𝘀𝗰𝗼𝗻𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝟰𝟬% 𝘀𝘂𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘇𝘇𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗽𝗲𝗿𝘁𝗶𝗻𝗮.
Per beneficiare della promo sconto Christmas Sale, scrivici ad [email protected] o contattaci su Whatsapp al numero di telefono: 379 163 8765.
Se ti piacciono le novità e gli articoli riportati su di Red Hot Cyber, iscriviti immediatamente alla newsletter settimanale per non perdere nessun articolo. La newsletter generalmente viene inviata ai nostri lettori ad inizio settimana, indicativamente di lunedì. |
“La sicurezza è qualcosa che accade tra le tue orecchie, non qualcosa che tieni tra le mani.”
Jeff Cooper
Tralasciando il cattivo gusto di avvicinare i certificati verdi con le tragiche vicende dell’olocausto, è comparso in rete un portale dal titolo “Shindler’s List 2.0“ (l’industriale tedesco a cui probabilmente si sono “ispirati” si chiamava Oskar Schindler, per la cronaca) che pubblica i qrcode dei green pass che sembrano provenire dalla ormai “famosa” collezione di 1003 DGC “italiani” che sta circolando in Rete da qualche giorno e di cui avevo parlato qui.
Qualcuno -e sia il footer che il sorgente della pagina lascerebbe pensare a qualche affiliato di Anonymous– ha costruito un frontend web che visualizza green pass pronti all’uso, con tanto di nome, cognome e data di nascita del proprietario.
Il modulo di ricerca permette di scegliere green pass specifici, ad esempio per nome, cognome o data di nascita (immagino per destare meno sospetti in chi verifica) mentre un link a una cartella condivisa su MEGA.nz invita i visitatori a depositare ulteriori green pass di cui si è in possesso.
Il tutto, giusto per precisarlo, in forma libera e gratuita.
Il sito è ospitato sul network IPFS, un “peer-to-peer hypermedia protocol designed to preserve and grow humanity’s knowledge by making the web upgradeable, resilient, and more open“, probabilmente per renderne difficile sia capirne l’origine che rimuoverlo. Non essendoci inoltre componenti dinamiche, chiunque potrebbe facilmente scaricarlo e attivarlo su altre piattaforme di hosting.
Siamo davanti, probabilmente, a un atto di hacktivismo politico con l’obiettivo di colpire alle fondamenta il sistema di verifica e certificazione di cui i digital green certificates sono lo strumento privilegiato.
Un sistema che, sia per motivi tecnici che normativi, sta mostrando –a mio personalissimo parere– forti limiti e criticità. Secondo il D.P.C.M. 17.06.2021, infatti, l’attività di controllo del green pass (e del documento d’identità) è possibile, attraverso l’app. ufficiale VerificaC19, ai seguenti soggetti:
ma una successiva circolare, del 10 agosto, ha specificato che il controllo del documento di identità era possibile solo in particolari situazioni:
(Ricordo che in caso di palese falso, l’esercente che non controlla il documento d’identità rischia una sanzione da 400 a 1000€ mentre, per l’utente, c’è il reato di falsificazione e truffa)
A questo si aggiunge che per un cliente è molto difficile, se non talvolta impossibile, avere la certezza che l’app che “fotografa” il suo green pass sia quella ufficiale Verifica C19: potrebbe esserne una molto somigliante, ad esempio, ma che memorizza la foto del green pass sullo smartphone per un utilizzo successivo. Non a caso, lo stesso Garante della privacy proprio a inizio Novembre ha avviato una indagine a tal proposito.
Quindi, oltre all’ipotesi che possano esservi state situazioni particolari in cui gli utenti stessi hanno divulgato il proprio certificato (es. inviandolo via posta elettronica a terzi), la possibilità che vi siano state vere e proprie “campagne di raccolta” di green pass da parte di app farlocche è forse l’ipotesi più plausibile davanti a un archivio decisamente sostanzioso, come quello che sta circolando. Tra l’altro, finalmente, anche il Garante della Privacy ha confermato di aver avviato una indagine in merito e di aver “dato mandato al Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi tecnologiche della Guardia di Finanza di acquisire gli archivi on line e accertarne la provenienza“.
Tuttavia, a ora, non si ha notizia che questi certificati siano stati inseriti nella blacklist dell’app. VerificaC19, mantenendoli quindi validi e utilizzabili (come qualche giornalista ha dimostrato in questi giorni).Z
Per finire, è stata recentemente pubblicata su un portale di file sharing russo una collezione di sorgenti di alcune app di verifica DGC e documentazione relativa al funzionamento dei certificati verdi, con il dichiarato obiettivo di “rompere” il sistema.
Redazione
Il Centro Congressi Frentani ospiterà il 12 dicembre la conferenza “Cybercrime, Artificial Intelligence & Digital Forensics”, l’evento annuale organizzato da IISFA – Associazione Italiana...

Un nuovo post pubblicato poche ore fa sul forum underground Exploit rivela l’ennesima offerta criminale legata alla vendita di accessi a siti compromessi. L’inserzionista, un utente storico del fo...

In Australia, a breve sarà introdotta una normativa innovativa che vieta l’accesso ai social media per i minori di 16 anni, un’iniziativa che farà scuola a livello mondiale. Un’analoga misura ...

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accusato i fratelli gemelli Muneeb e Sohaib Akhter di aver cancellato 96 database contenenti informazioni sensibili, tra cui verbali di indagini e doc...

Malgrado le difficoltà geopolitiche significative, il settore degli spyware mercenari resta una minaccia adattabile e persistente; in questo contesto, il noto fornitore Intellexa prosegue l’espansi...