
Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo coinvolta nello scandalo della corruzione del “Qatargate” fa parlare di sé anche nel comunicato stampa del Garante Privacy riguardante però la circolazione del video dell’arrivo della figlia di quasi 2 anni presso il carcere di Haren per fare visita alla madre anche su testate giornalistiche.
Gli sciacallaggi social-mediatici sono più volte stati attenzionati da parte del Garante. Alcuni esempi degli ultimi anni possono essere la vicenda del Mottarone del 2021 e la pubblicazione delle foto di Chanel Totti del 2022.
Quel che viene ribadito è l’assoluta mancanza di “qualsiasi interesse pubblico rispetto alla vicenda dell’eurodeputata” – e dunque l’impossibilità di giustificare la diffusione di tali informazioni per l’esercizio del diritto di cronaca in quanto non necessarie.
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La regola generale da applicare per la pubblicazione di notizie o immagini riguardanti minori infatti è la prevalenza del diritto alla riservatezza rispetto a quello di critica e cronaca, prevedendo come eccezione il ricorrere di motivi di rilevante interesse pubblico.
Il Testo Unico dei doveri del giornalista, inoltre, prescrive l’essenzialità dell’informazione e nel caso di minori, c’è il richiamo della Carta di Treviso per cui esistono doveri ulteriori e specifici per la loro tutela come la garanzia di assoluto anonimato anche quando sono coinvolti come autori, vittime o testimoni in fatti di cronaca. Figurarsi dunque ipotesi in cui non c’è rilevanza alcuna ai fini della notizia.
Il Garante ribadisce che il video “non solo viola la riservatezza e l’anonimato della bambina, ma risulta lesivo della sua personalità e del suo sviluppo psico-fisico, comportando la permanenza in rete di immagini per un tempo potenzialmente infinito e privando, di conseguenza, la bambina del diritto a non doversi ritrovare, in un prossimo futuro, a rivivere certi tristi momenti”.
Il nesso fra sovraesposizione mediatica di un soggetto tipicamente vulnerabile quale può essere un minore e un danno spesso permanente e irreparabile è di chiara evidenza. E con l’avvento dei new media la magnitudo, ovverosia l’impatto negativo e dell’interferenza, è destinata ad aumentare in modo significativo.
Questo fatto e altri analoghi possono far comprendere quella dimensione spesso dimenticata della privacy – o meglio: della protezione dei dati personali – come diritto fondamentale. Diritto che spesso è stato posto apoditticamente in posizione recessiva, fino al punto di essere indicato come un ostacolo o un impedimento.
Ecco che si è andata a realizzare quella prevedibile deriva che per un pugno di clic e visualizzazioni o in nome dell’engagement va facilmente a sacrificare senza troppe cure i diritti dei più deboli.
I quali ne andranno a pagare il prezzo e comunque troveranno tutele solo di carattere rimediale, poiché per quanto riguarda l’intento di protezione preventiva dobbiamo constatare un diffuso fallimento culturale. Fallimento che, si ricorda, dovrebbe pesare innanzitutto sulla coscienza di tutti quei “negazionisti della privacy”. Beninteso, se solo ne avessero una.
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