Redazione RHC : 7 Febbraio 2024 07:07
A cura di Neil Thacker, CISO Emea Netskope
Qual è la relazione tra zero trust e identità dell’utente? Non c’è dubbio che l’identità sia una componente fondamentale di un’efficace strategia zero trust, ma c’è anche il pericolo che le organizzazioni si concentrino eccessivamente su questo elemento dimenticando che ce ne sono anche altri da valutare.
Pensare che un approccio zero trust dipenda esclusivamente dall’identità dell’utente significa non interpretare correttamente il concetto di zero trust. Questo malinteso può portare a potenziali vulnerabilità che, a loro volta, possono provocare importanti incidenti di sicurezza informatica, proprio quel tipo di eventi che l’organizzazione stava tentando di evitare adottando il principio zero trust.
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L’identità è un fattore fondamentale dello zero trust e, da molti anni, le aziende utilizzano l’autenticazione a più fattori (MFA) per garantire la protezione dei propri dati sensibili. Tuttavia, il panorama delle minacce è in evoluzione e alcuni esperti ora stimano che fino al 70% delle opzioni MFA siano facilmente violabili con l’ingegneria sociale e il phishing.
Al di fuori del mondo della sicurezza informatica, non riporremmo la nostra fiducia in qualcuno basandoci solo su un singolo fattore. La fiducia è un processo che deve essere costruito nel tempo. Allo stesso modo, devono esserci molteplici forme di verifica affinché si possa raggiungere lo zero trust. Semplificare eccessivamente la complessità di questo processo rischia di dare una falsa impressione di sicurezza e apre il rischio di una grave violazione informatica.
Un approccio zero trust deve iniziare con il presupposto che il tuo sistema può e sarà compromesso. Più misure verranno messe in atto per proteggerlo, maggiore sarà la fiducia che potremo riporre in esso. Fondamentalmente, è necessario utilizzare un unico Policy Enforcement Point (PEP) per controllare il traffico di informazioni che fluisce da queste diverse misure.
L’autenticazione dell’identità è una delle prime – e più comunemente utilizzate – misure per lo zero trust e dovrebbe essere una parte fondamentale di qualsiasi strategia. Include identità decentralizzata, framework MFA avanzati e metodi biometrici senza l’utilizzo di password. Tuttavia, da sola non è sufficiente.
Ecco altri sette elementi che le aziende dovrebbero integrare nel proprio PEP per garantire un’infrastruttura zero trust sicura e solida:
Non conta solo chi sei, ma quale dispositivo stai utilizzando. Un utente completamente autenticato su un dispositivo compromesso rappresenta ancora un rischio per la sicurezza. Lo zero trust dovrebbe differenziare i dispositivi aziendali da quelli personali, esaminare l’integrità dei dispositivi, i livelli di patch e le configurazioni di sicurezza prima di concedere l’accesso.
Con l’aumento del lavoro ibrido, le organizzazioni dovrebbero anticipare i tentativi degli utenti di accedere alla documentazione aziendale da luoghi diversi. Pertanto, deve esistere un sistema in grado di segnalare tendenze insolite. Ad esempio, se un utente tenta di accedere un giorno da Londra e poi nell’ora successiva dall’altra parte del mondo, ciò dovrebbe essere segnalato nel sistema e non dovrebbe essere lasciato al caso. Allo stesso modo, il sistema dovrebbe segnalare se qualcuno accede contemporaneamente da due posizioni diverse.
Con l’aumento dei servizi cloud, ci sono molte applicazioni concorrenti che svolgono la stessa funzione. Pertanto, i team di sicurezza dovrebbero esaminare e approvare applicazioni specifiche per uso aziendale e, ove necessario, mettere in atto controlli avanzati e/o restrizioni sulle applicazioni non approvate per mitigare la potenziale perdita di dati.
All’interno di ciascuna applicazione cloud sono presenti anche diversi tipi di istanze della stessa applicazione. Ad esempio, molte organizzazioni consentono ai dipendenti di utilizzare le proprie applicazioni cloud personali come le istanze personali di Microsoft 365. Ciò tuttavia può causare problemi, soprattutto se i dati aziendali riservati vengono condivisi con un’applicazione personale. Pertanto, è necessario comprendere anche ogni istanza di ciascuna applicazione.
Lo zero trust si estende al modo in cui le applicazioni interagiscono tra loro e al modo in cui accedono ai dati. Anche all’interno della sessione di un singolo utente, le azioni intraprese da un’applicazione per conto di quell’utente sono soggette a controllo.
L’identità può garantire agli utenti l’accesso iniziale, ma il comportamento successivo dovrebbe essere costantemente esaminato. Se un dipendente (o un’entità) inizia improvvisamente ad accedere a grandi volumi di dati o scarica file sensibili, dovrebbero attivarsi degli alert, anche se l’utente era inizialmente autenticato.
Al centro del concetto zero trust ci sono i dati: l’importante è garantire l’integrità e la riservatezza dei dati. Ciò significa crittografare i dati inattivi e in transito e monitorare i modelli di accesso ai dati per rilevare eventuali anomalie, indipendentemente dall’identità dell’utente. Ciò includerebbe misure per automatizzare la categorizzazione dei dati e l’implementazione di controlli specifici o rafforzati qualora tale categoria lo richiedesse.
L’identità è innegabilmente una pietra angolare del modello Zero Trust, ma rimane solo una parte di una struttura complessa. Se un’organizzazione si concentra eccessivamente sull’identità, si espone al fallimento e al rischio di quel tipo di violazione informatica che zero trust dovrebbe prevenire.
Il vero zero trust si ottiene solo quando un’organizzazione adotta un approccio integrato e olistico che considera ogni punto di contatto, utente e dispositivo. Incorporando tutti gli otto elementi nell’ approccio Zero Trust (inclusa l’identità), le organizzazioni possono operare con maggiore sicurezza e la sicurezza può diventare un vero abilitatore, rendendo possibile l’innovazione e l’adattamento a qualunque esigenza aziendale, sia che ciò significhi adottare nuove applicazioni, integrare l’intelligenza artificiale, espandersi in nuovi mercati o incoraggiare il lavoro ibrido.
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