
Redazione RHC : 19 Agosto 2022 08:00
Per mettere in prospettiva quanto fosse massiccio l’attacco al suo culmine, Google afferma che era l’equivalente di ricevere tutte le richieste quotidiane verso Wikipedia in soli 10 secondi.
Questo è avvenuto ad un cliente di Google Cloud Armor, il quale è stato colpito da un attacco DDoS (Distributed Denial-of-Service) sul protocollo HTTPS che ha raggiunto 46 milioni di richieste al secondo (RPS), rendendolo il più grande mai registrato nel suo genere.
In soli due minuti, l’attacco è passato da 100.000 RPS a 46 milioni di RPS da record, quasi l’80% in più rispetto al record precedente, un DDoS HTTPS di 26 milioni di RPS che Cloudflare ha mitigato a giugno.
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L’assalto è durato 69 minuti
L’attacco è iniziato la mattina del 1 giugno, alle 09:45 ora del Pacifico, e ha preso di mira inizialmente il bilanciatore di carico HTTP/S della vittima con soli 10.000 RPS.
In otto minuti, l’attacco si è intensificato a 100.000 RPS ed è intervenuta Cloud Armor Protection di Google generando un avviso e firme basate su determinati dati estratti dall’analisi del traffico.
Due minuti dopo, l’attacco ha raggiunto il picco di 46 milioni di richieste al secondo.
Fortunatamente, il cliente aveva già implementato la regola consigliata da Cloud Armor, consentendo alle operazioni di funzionare normalmente. L’assalto è terminato 69 minuti dopo l’inizio.
“Presumibilmente l’attaccante ha stabilito che non stavano avendo l’impatto desiderato mentre stavano sostenendo spese significative per eseguire l’attacco”
si legge in un rapporto di Emil Kiner (Senior Product Manager) e Satya Konduru (Technical Lead) di Google.
Il malware dietro l’attacco deve ancora essere determinato, ma la distribuzione geografica dei servizi utilizzati punta a Mēris, una botnet responsabile di attacchi DDoS con picchi fino a 21,8 milioni di RPS.
Mēris è noto per l’utilizzo di proxy non protetti per inviare cattivo traffico, nel tentativo di nascondere l’origine.
I ricercatori di Google affermano che il traffico di proveniva da soli 5.256 indirizzi IP sparsi in 132 paesi e sfruttavano le richieste crittografate (HTTPS), indicando che i dispositivi che inviano le richieste hanno risorse di calcolo piuttosto potenti.
“Sebbene fosse necessario terminare la crittografia per ispezionare il traffico e mitigare efficacemente l’attacco, l’uso di HTTP Pipelining ha richiesto a Google di completare relativamente pochi handshake TLS”.
Un’altra caratteristica dell’attacco è l’uso dei nodi di uscita Tor per fornire il traffico. Sebbene quasi il 22% o 1.169 delle fonti incanalassero le richieste attraverso la rete Tor, rappresentavano solo il 3% del traffico di attacco.
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Redazione
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