Roberto Campagnola : 17 Maggio 2024 10:41
Il 9 maggio, la NOAA, l’agenzia federale statunitense per il monitoraggio delle condizioni atmosferiche, ha emesso un avviso per una tempesta geomagnetica potenzialmente grave. Questo avviso si è rivelato corretto, poiché nella giornata del 10 maggio la Terra è stata colpita dalla tempesta geomagnetica più intensa degli ultimi 20 anni. Proviamo a capire di cosa si tratta.
Anche se ancora non conosciamo perfettamente la fisica solare, sappiamo che la nostra stella è soggetta a un’attività frenetica secondo un ciclo di 11 anni. Durante questo ciclo, l’attività solare dà origine a una serie di fenomeni molto intensi, tra cui i brillamenti solari (solar flare) e le espulsioni di massa coronale (CME, coronal mass ejection), che sono proprio le responsabili delle tempeste geomagnetiche.
Nei primi giorni di maggio sono comparse sulla superficie del Sole di due grandi macchie, la più grande nell’emisfero sud chiamata AR3664. Le macchie sono regioni della superficie solare (chiamata fotosfera) caratterizzate da una temperatura minore rispetto alle zone circostanti e da una intensa attività magnetica. La forte attività della fotosfera causa il fenomeno della riconnessione magnetica, in cui le linee di flusso del campo magnetico di opposta polarità si ricongiungono; questa riconnessione porta al rilascio di enormi quantità di energia in tutto lo spettro elettromagnetico.
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Quando questa radiazione elettromagnetica incontra la magnetosfera terrestre è assorbita dagli strati della ionosfera e alterandola può compromettere le comunicazioni ad onde corte (tra 3 e 30 MHz). I flare sono classificati in cinque classi a secondo della loro luminosità; in ordine crescente di potenza abbiamo le classi A, B, C, M e X. Ogni classe è dieci volte più potente di quella precedente, con la più potente X che è ulteriormente suddivisa linearmente in 9 classi, numerate da 1 a 9. I flare associati agli eventi dei giorni scorsi sono stati al massimo di categoria X5.9.
A partire dal 7 maggio, però, la macchia AR3664, comparsa già nei primi giorni del mese, ha aumentato notevolmente le sue dimensioni e la sua attività e ha portato con sé, oltre a brillamenti solari molto più intesi anche espulsioni di massa coronale, chiamate CME (Coronal Mass Ejection).
La CME è un forte rilascio di materia dalla corona solare, sotto forma di plasma, principalmente particelle cariche (elettroni e protoni) in aggiunta al campo magnetico loro associato che, interagendo con la nostra magnetosfera, dà origine alle aurore polari. Quando infatti il flusso di CME colpisce il nostro pianeta, modifica la magnetosfera comprimendola, modificando il campo magnetico terrestre e rilasciando la sua energia principalmente nella ionosfera, dando origini alle caratteristiche colorazioni.
Le particelle di vento solare associato alla CME interagiscono con gli atomi dell’atmosfera, eccitandone i livelli energetici. Quando gli atomi tornano al loro stato fondamentale emettono fotoni di lunghezze d’onda caratteristiche: il caratteristico colore verde è dato dalla eccitazione e diseccitazione dell’ossigeno molecolare negli strati alti dell’atmosfera terrestre in precise condizioni di densità e pressione a circa 600 km di quota mentre le volute rosso/violacee sono dovute all’ossigeno molecolare ad una quota di circa 800 km.
Generalmente le CME, se l’espulsione avviene nella direzione giusta verso la Terra, raggiungono il nostro pianeta in circa 48 ore, a seconda della velocità del vento solare che in media è tra i 400 e i 500 km/s anche se si sono visti tempi più rapidi (durante l’evento Carrington, la più intensa tempesta solare mai registrata, la CME ha raggiunto la Terra in sole 17 ore!).
Il primo avviso è stato, infatti, diramato dalla NOAA il 9 maggio e date le condizioni e la posizione della macchia di origine si è subito previsto l’arrivo della CME sulla Terra. La conferma si è avuta quando la CME ha raggiunto i satelliti che studiano il Sole, posti in orbita nel punto lagrangiano L1 a 1.5 milioni di chilometri dalla Terra. 25 minuti dopo il passaggio su L1, la CME si è abbattuta sul nostro pianeta alle 19.45 dando origine alla tempesta geomagnetica più intensa degli ultimi 20 anni (la precedente tempesta di questa intensità è stata la cosiddetta “tempesta di Halloween” del 2003).
La tempesta che ha coinvolto il nostro pianeta, infatti, è stata classificata di classe G5, cioè estrema. I suoi effetti aurorali si sono potuti osservare a latitudini basse ad esempio in Spagna, Italia, Portogallo, Cipro, ma anche in Giappone Cina, Florida per quanto riguarda l’emisfero boreale, mentre nell’emisfero australe è stata visibile tra gli altri in Nuova Zelanda, Cile, Namibia, Sud Africa.
Poiché le tempeste possono generare nell’atmosfera terrestre correnti di centinaia di ampere che compromettono le trasmissioni radio ad alta frequenza, si sono verificati disturbi nelle telecomunicazioni in banda HF, VHF e UHF e degradazioni nel segnale GPS e malfunzionamenti a satelliti di osservazione meteorologica. Tempeste geomagnetiche estreme possono generare correnti indotte nella crosta terrestre dell’ordine di migliaia di ampere se non di più, tali correnti possono danneggiare trasformatori delle reti elettriche se non sono correttamene schermati e se i protocolli di messa in sicurezza delle reti elettriche non sono attivati in maniera tempestiva. Al momento in cui scriviamo non si riportano danni maggiori a terra a parte blackout temporanei delle trasmissioni radio ma se ne saprà di più nei prossimi giorni. Al 13 maggio il Sole è ritornato al suo stato di attività normale e la tempesta è considerata conclusa.
Credit:
ESA,NASA,Wikipedia, Aeronautica Militare, Chi ha paura del buio – chpdb.it
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