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Navigare nella Nebbia: analisi tecnica dell’operazione del ransomware Fog

Sandro Sana : 29 Aprile 2025 15:29

Negli ultimi anni, abbiamo assistito all’evoluzione incessante delle minacce cyber, che da semplici attacchi opportunistici si sono trasformati in operazioni altamente strutturate, capaci di colpire bersagli eterogenei su scala globale. L’ultimo caso degno di nota è quello descritto nel report pubblicato da The DFIR Report, che ci guida alla scoperta di un’infrastruttura malevola associata a un affiliato del gruppo Fog Ransomware.

Questa analisi rivela non solo le tecniche offensive impiegate, ma anche l’intelligenza e la pianificazione dietro l’intera catena di attacco, che ha coinvolto numerosi strumenti noti nel mondo del red teaming e dell’ethical hacking, piegati però a scopi criminali.

Origine dell’attacco: accesso iniziale tramite VPN compromessa

Il punto di partenza dell’intera operazione è riconducibile a un classico, ma sempre efficace, vettore di accesso iniziale: l’utilizzo di credenziali compromesse per connettersi a una SonicWall VPN esposta pubblicamente. In questo caso, non si parla di exploit di vulnerabilità zero-day, ma dell’abuso di password deboli o già trafugate e circolanti nel dark web. Ancora una volta, si conferma quanto la gestione delle credenziali e l’assenza di autenticazione multifattoriale siano tra i principali talloni d’Achille delle infrastrutture aziendali.

L’arsenale offensivo: strumenti noti, orchestrazione letale

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Il contenuto dell’open directory scoperta – rivelatosi un vero e proprio toolkit offensivo – ha permesso agli analisti di ricostruire con estrema precisione le varie fasi dell’attacco. Gli strumenti rinvenuti, pur essendo noti e disponibili in contesti di test o formazione, sono stati qui utilizzati con finalità del tutto malevole:

  • SonicWall Scanner: per l’individuazione automatizzata di dispositivi VPN esposti e potenzialmente vulnerabili.
  • Sliver C2: una piattaforma Command & Control alternativa a Cobalt Strike, capace di gestire payload e comunicazioni crittografate, oltre a offrire strumenti di evasione e pivoting avanzati.
  • DonPAPI: strumento pensato per estrarre credenziali dal Windows DPAPI, spesso sottovalutato ma estremamente efficace per recuperare segreti utente da browser e altri software.
  • Certipy: specializzato nello sfruttamento delle vulnerabilità certificate-based presenti in Active Directory, come attacchi relaying su servizi di autenticazione.
  • Zer0dump, noPac e Pachine: impiegati per escalation dei privilegi, attacchi relaying NTLM e abuso delle deleghe Kerberos, in particolare tramite combinazioni che coinvolgono le vulnerabilità CVE-2021-42278 e CVE-2021-42287.

Un elemento particolarmente interessante è l’impiego di AnyDesk, utilizzato come meccanismo di persistenza. Il software è stato distribuito e installato silenziosamente tramite PowerShell script preconfigurati, con l’obiettivo di mantenere l’accesso ai sistemi anche in caso di reboot o revoca delle credenziali.

Tecniche MITRE ATT&CK in uso

Il grafo relazionale allegato al report e qui riportato fornisce una rappresentazione visiva straordinariamente dettagliata dei collegamenti tra attori, tecniche, vulnerabilità e settori colpiti. Le tecniche impiegate coprono diverse fasi della kill chain:

Fase dell’attaccoTecnica MITREDescrizione
Accesso inizialeT1071.001Protocollo HTTP per C2
Movimento lateraleT1021.002SMB/Windows Admin Shares
Estrazione credenzialiT1555Password da store locali
TunnelingT1572Protocol Tunneling (es. attraverso Sliver)
Privilege EscalationT1558.003Golden Ticket
PersistenceT1134Manipolazione token di accesso
Account DiscoveryT1087Enumerazione utenti e gruppi
AD ExploitationT1078, T1134Sfruttamento dei token e deleghe

Le vulnerabilità sfruttate

Gli attaccanti si sono avvalsi di tre vulnerabilità note, ma ancora ampiamente presenti in molte realtà aziendali:

  • CVE-2021-42287: consente ad un utente autenticato di impersonare un altro account, specialmente in combinazione con exploit AD.
  • CVE-2021-42278: abusa dei record DNS e dei nomi computer per ottenere escalation privilegi.
  • CVE-2020-1472 (Zerologon): uno degli exploit più devastanti degli ultimi anni, consente di ottenere il controllo completo di un domain controller sfruttando l’algoritmo di autenticazione Netlogon.

Queste vulnerabilità, sebbene pubbliche da tempo, rappresentano un pericolo persistente a causa della lentezza di alcune organizzazioni nell’applicare patch o mitigazioni strutturate.

Target colpiti: una minaccia globale e trasversale

Il gruppo Fog Ransomware si distingue per l’ampiezza geografica e settoriale dei suoi bersagli. Il grafo mostra chiaramente l’attività mirata contro:

  • Nazioni coinvolte:
    • 🇺🇸 Stati Uniti d’America
    • 🇮🇹 Italia
    • 🇧🇷 Brasile
    • 🇬🇷 Grecia
  • Settori economici colpiti:
    • 🛒 Retail
    • 🎓 Education
    • 🖥️ Technology
    • 🚚 Transportation

Questa distribuzione evidenzia una strategia non opportunistica ma pianificata, basata su analisi di impatto, disponibilità delle superfici di attacco e, probabilmente, capacità di pagamento del riscatto.

Considerazioni finali

Ci troviamo di fronte a un caso emblematico in cui l’integrazione di strumenti noti (alcuni persino open source), l’automazione di task offensivi tramite scripting e l’uso di vulnerabilità non zero-day danno vita a una campagna ransomware efficace e su larga scala.

La professionalizzazione del cybercrime e l’accessibilità degli strumenti di attacco rendono necessaria una nuova consapevolezza da parte delle aziende. Non si tratta solo di aggiornare i sistemi, ma di ripensare completamente la propria postura di sicurezza:

  • Messa in sicurezza dei controller di dominio e delle infrastrutture Active Directory
  • Monitoraggio continuo delle anomalie tramite strumenti EDR e SIEM
  • Segmentazione delle reti interne
  • Disabilitazione dei protocolli obsoleti (come Netlogon non sicuro)
  • MFA ovunque, incluso VPN e accessi remoti

Il gruppo Fog Ransomware ci ricorda che, nel mondo delle minacce informatiche, l’unica nebbia ammissibile è quella che avvolge gli attaccanti nei nostri sistemi di deception. Ma noi, oggi più che mai, dobbiamo vedere chiaro.

Sandro Sana
Membro del gruppo di Red Hot Cyber Dark Lab e direttore del Red Hot Cyber PodCast. Si occupa d'Information Technology dal 1990 e di Cybersecurity dal 2014 (CEH - CIH - CISSP - CSIRT Manager - CTI Expert), relatore a SMAU 2017 e SMAU 2018, docente SMAU Academy & ITS, membro ISACA. Fa parte del Comitato Scientifico del Competence Center nazionale Cyber 4.0, dove contribuisce all’indirizzo strategico delle attività di ricerca, formazione e innovazione nella cybersecurity.

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