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Piaccia o meno, il “disservizio” di Libero è stato un data breach

Piaccia o meno, il “disservizio” di Libero è stato un data breach

10 Febbraio 2023 06:53

Certamente il “disservizio” di Libero ha fatto molto parlare di sé, e ne abbiamo sentite un po’ di tutti i colori a riguardo: dalle speculazioni tecniche a più creative ricostruzioni dal punto di vista giuridico. Vigilando le varie bolle social in cui operano gli esperti della protezione dei dati personali (o professi tali), c’è stato modo di assistere a ricchi ed interessanti carpiati giuridici per allontanare ogni spettro per qualificare l’evento come una violazione di dati personali.

Insomma: sembra che le energie di alcuni siano state dirette ad elaborare complessi arabeschi retorici e piroette argomentative pur di “tranquillizzare” le organizzazioni ed escludere che l’effetto dell’interruzione dei servizi di posta di Libero possa essere una forma di data breach. In pratica: l’indisponibilità della casella lato provider è stata declassata ad un “niente di importante”.

Fortuna vuole però che alcuni abbiano invece correttamente letto e compreso il GDPR, e segnalato che anche in caso di un mancato accesso temporaneo ai dati personali si tratta comunque di un data breach. Sarebbe stato sufficiente leggere la definizione offerta dall’art. 4 GDPR a riguardo:


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la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati;”.

Nelle linee guida WP250 viene inoltre specificato che una violazione di disponibilità sussiste “in caso di perdita accidentale o non autorizzata dell’accesso ai dati personali o di loro distruzione accidentale o non autorizzata“.

L’evento deve in ogni caso essere oggetto di registrazione, come previsto dall’art. 33.5 GDPR, e valutato per determinare eventuali ulteriori adempimenti previsti dalla norma: dalla notifica all’autorità di controllo, alla comunicazione nei confronti degli interessati coinvolti.

Considerato l’accaduto, i titolari del trattamento devono pertanto annotare la durata della perdita di disponibilità dei dati e analizzare l’impatto realizzato nei confronti delle persone fisiche.

Solo qualora il rischio sia improbabile, non occorrerà procedere ad alcuna notifica ma monitorare eventuali aggiornamenti a riguardo. Inoltre, vista la combolist di utenti di Libero pubblicata nelle underground, sarà cura di ciascuno verificare anche l’eventuale compromissione di confidenzialità delle proprie caselle.

Se l’atteggiamento diffuso è quello di allontanare aprioristicamente ogni possibile responsabilità – finanche limitata all’eseguire una mera notifica all’autorità di controllo – rivela una scelta di metodo allarmante in nome di una probabile tutela della reputazione delle organizzazioni. Scelta che porta inevitabilmente a preferire una falsa percezione di sicurezza e adottare comportamenti elusivi nei confronti di obblighi che però sono posti a tutela degli interessati.

Per questo motivo forse le statistiche riguardanti le violazioni di dati personali in Italia rivelano numeri incredibilmente contenuti. Il movente deriva o da mala fede o da ignoranza, ma tanto nel primo quanto nel secondo caso degli interventi sanzionatori esemplari potrebbero solamente sortire un effetto controproducente.

L’unico modo per uscirne è un cambio di mentalità e cultura.

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Stefano Gazzella

Privacy Officer e Data Protection Officer, è Of Counsel per Area Legale. Si occupa di protezione dei dati personali e, per la gestione della sicurezza delle informazioni nelle organizzazioni, pone attenzione alle tematiche relative all’ingegneria sociale. Responsabile del comitato scientifico di Assoinfluencer, coordina le attività di ricerca, pubblicazione e divulgazione. Giornalista pubblicista, scrive su temi collegati a diritti di quarta generazione, nuove tecnologie e sicurezza delle informazioni.

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