
Sandro Sana : 13 Ottobre 2025 11:00
Jensen Huang, CEO di NVIDIA, ha detto apertamente che nel boom dell’intelligenza artificiale i veri vincitori, almeno nel breve/medio periodo, saranno gli elettricisti, gli idraulici e in generale gli artigiani specializzati. Sì, proprio loro: i “colletti blu” che trasformano in realtà i megawatt e i megadati dei nuovi data center.
Una visione che stride (e al tempo stesso si incastra) con l’altra faccia della medaglia: la crescente paura di una bolla speculativa sull’IA, che rischia l’ennesimo “tracollo tecnologico” se i numeri non reggeranno all’urto della realtà.
Nel racconto patinato dell’IA ci dimentichiamo spesso un dettaglio materiale: senza capacità elettrica, raffreddamento, carpenteria, networking e cantiere non parte nulla. Huang lo dice chiaro: serviranno centinaia di migliaia di professionisti qualificati: elettricisti, idraulici, carpentieri, per costruire “fabbriche di IA” in tutto il mondo. È un messaggio quasi controintuitivo nel mezzo delle discussioni sulla “automazione dei colletti bianchi”, ma è terribilmente pragmatico: prima ancora dei modelli, bisogna edificare l’infrastruttura. E quello è lavoro fisico, qualificato, ben pagato e… scarsissimo.
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Non è una sparata isolata: la carenza di artigiani specializzati è un punto dolente che investitori e big tech continuano a sottolineare, fino a ipotizzare che sarà il collo di bottiglia dell’espansione IA. In parallelo, diverse testate internazionali hanno rilanciato le stesse parole di Huang, perfettamente allineate a questa narrativa di “boom dei mestieri” trainato dall’esplosione dei data center.
Qui entra il mio “taglio personale”. Da CISO lo vedo ogni giorno: l’IA non sostituisce in blocco, ricalibra. Il primo impatto lo stanno sentendo i ruoli ripetitivi e documentali; dove c’è giudizio, contesto, responsabilità e accountability, l’IA è leva, non sostituto. Il problema è che molte aziende scambiano il pilota automatico per una patente di guida: investono in modelli e licenze, ma non in change management, processi, metriche, risk governance. È così che nascono i “tagli facili” sui colletti bianchi: da strategie miope-centriche più che da una reale superiorità della macchina.
Huang, peraltro, una bussola la offre: “l’IA non ti ruba il lavoro, ma lo farà qualcuno che la sa usare”. Tradotto: le competenze ibridate dall’IA diventano vantaggio competitivo. Chi resta fermo alla scrivania guardando il flusso passare, si auto-estromette. Chi impara a “parlare” con i modelli, disegna processi e controlli, aumenta produttività e impatto.
La seconda notizia – la paura di una bolla IA – è la cartina di tornasole. C’è euforia sui mercati, c’è storytelling infinito, ma a valle di alcune promesse mancano ancora cash flow ripetitivi e use case industrializzati a sufficienza. L’articolo pubblicato su Red Hot Cyber mette in fila un clima di incertezza crescente: dalle ammissioni dei leader del settore alle preoccupazioni espresse da istituzioni e banche. È il solito film? Forse. Ma questa volta l’opera è costosa: parliamo di mega-capex per alimentare LLM assetati di energia e calcolo, con orizzonti di ritorno che rischiano di dilatarsi.
Se vuoi una metafora da sala macchine: stiamo correndo a installare tubazioni da un metro di diametro, ma i serbatoi a valle non sono ancora dimensionati per incassare tutto quel flusso di valore. Nel mentre, in molte aziende italiane vedo la solita “bacinella sotto la goccia”: si compra la piattaforma trendy per dire “ce l’abbiamo”, senza ripensare governance, sicurezza, processi, integrazioni. Così il ROI evapora e la bolla… si gonfia.
Mettiamola così: i data center non sono slide, sono acciaio. Lì si incrociano le profezie di Huang e la paura della bolla. Se mancano le competenze per costruirli e operarli, la supply chain rallenta e l’offerta di calcolo resta rigida (prezzi alti, colli di bottiglia). Se invece costruiamo tutto in fretta ma senza risk engineering e security-by-design, il kill-switch arriverà dai costi operativi, dai blackout di affidabilità, o peggio, da incidenti cyber su modelli e pipeline MLOps.
Il punto, per chi fa sicurezza, è semplice e scomodo: l’IA moltiplica esposizione e dipendenze. Governance, audit, controllo degli accessi, tracciabilità dei dati, robustezza dei modelli, protezione della supply chain di firmware e componentistica (UEFI, BMC, telemetria), detection sulle pipeline… se non mettiamo questi “bulloni” mentre montiamo l’impianto, la bolla non scoppia per speculazione: scoppia perché non regge in produzione.
Da qui guardo al contesto italiano con il mio solito pragmatismo: abbiamo una tradizione manifatturiera e impiantistica che può cavalcare questo rinascimento dei mestieri tecnici. Elettricisti, frigoristi, cablatori, sistemisti di rete, tecnici OT: qui c’è lavoro “vero”, ben retribuito, con traiettorie di carriera moderne (pensate alle AI-factory e ai campus edge). Ma servono filiere formative rapide, apprendistati degni del 2025, partnership pubblico-private e, lasciatemelo dire, meno burocrazia e più cantieri. Quello che Huang descrive non è fantascienza: è backlog che molte regioni italiane possono intercettare se si muovono adesso.
Sul fronte “bolla”, invece, la cura è la solita: misurare. KPI e KRI, non pitch deck. Piani di adozione che partono da processi e dati, non da demo. Security & compliance integrata, non cerotti all’ultimo miglio. E soprattutto trasparenza sui costi: energia, raffreddamento, licenze, fine-tuning, retraining, latenza, lock-in. Più i board pretendono numeri e accountability, meno spazio resta alla retorica.
Tiro le somme, senza giri di parole. La frase di Huang è un promemoria utile: l’IA corre su infrastrutture fisiche e oggi il collo di bottiglia sono persone con cassetta degli attrezzi e competenze certificate. È una buona notizia per l’economia reale e per i giovani che vogliono lavori ad alta domanda senza dover passare per forza da quattro anni di università.
Dall’altra parte, la bolla non si evita con gli slogan, ma con esecuzione e disciplina: progetti che generano valore misurabile, controlli che reggono in produzione, investimenti accompagnati da persone, processi e sicurezza. Se costruiamo “acciaio e governance” insieme, l’IA smette di essere un castello di carte e diventa un asset strategico. Se invece continuiamo a vendere slide e a comprare sogni, allora sì: tra un cacciavite e l’ennesimo pitch, scommetto tutto sul cacciavite. Perché i bulloni, alla fine, tengono sempre più dei balloon.
Sandro Sana
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